Le immagini della prima iniziativa con il treno enogastronomico dal Monferrato



"Il 19 giugno 2019 compiremo 27 anni. Non so se questa è una notizia, come si dice in gergo, ma certo per tanti di noi questo lunghissimo periodo rappresenta una vita che in qualche modo abbiamo condiviso insieme. Anzi, è il cuore pulsante della vita, in quelli che si definiscono gli anni migliori, quando eravamo tutti più giovani e incoscienti, mentre oggi che giovani restiamo sempre, abbiamo modellato la coscienza. Per festeggiare, faremo una Giornata di Resistenza Umana, in Valsesia, che per noi rappresenta un luogo che ha conservato tanto e ora si rilancia. Un luogo dove il senso dell’identità è molto forte, tanto da ispirare anche l’architettura.

In questi 27 anni cosa abbiamo fatto? Non è il caso di fare dei bilanci, che hanno sempre il sapore di un’autocelebrazione anacronistica. Quel che è fatto è fatto, e non è poi così importante. Ciò che conta sono invece le relazioni e in queste le persone che si sono affacciate sul nostro orizzonte. Circa diecimila persone hanno aderito a Papillon e molte di queste sono rimaste fedeli, condividendo le nostre riflessioni, o anche no: l’importante è aver creato un luogo di confronto franco, un paragone per tutti, che doveva riguardare il lavoro, il gusto, ma la stessa vita di ciascuno che è il bene più prezioso, alla fine. Certo, più passa il tempo, più diventa incalzante la cronaca di chi ci lascia: Gianfranco Soldera, Corrado Barberis, per citare due nomi con cui abbiamo avuto relazioni che oggi non ci sono più. In fondo al diario abbiamo pubblicato una struggente canzone di Guccini, Farewell, che racconta il brivido della gioventù, l’invincibile avventura “tra gli amici che ridono e suonano attorno ai tavoli pieni di vino, religione del tirare tardi e aspettare mattino”. Poi la parabola del “siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa”. Struggente, ma nello stesso tempo non risolutiva, perché sarebbe un bell’inganno il nulla. Lo dico pensando a un’altra persona che ci ha lasciati, amica, Madre Anna Maria Canopi, badessa dell’isola di San Giulio che in una lettera inviatami quattro anni fa mi scrisse: “Non si lasci rubare la speranza”. Ed è questo il motivo per cui restiamo insieme, in fondo: non essere in balia degli eventi che ovunque sembrano parlare di morte. Ma non solo la morte fisica, intendiamoci: anche quella dei rapporti, quella dei paesi, quella di un certo lavoro fatto bene dove non è la prevaricazione la prima cosa cui si tende.

In questo ultimo scorcio di tempo ho sentito dire da Gianni Rigoni Stern, che esce con un libro fortemente voluto da tutti noi (“Ti ho sconfitto felce aquilina”) che il superfluo — gli ha insegnato suo padre Mario — merita d’essere distribuito altrove. Per questo ci sta accarezzando la proposta, maturata in un pomeriggio a Diano Marina, che gli eroici negozi degli alimentari dei paesi di montagna possano essere adottati dai negozi di città. Così come fecero i macellai del Golosario quando ci fu il terremoto in Centro Italia. Adottare un lavoro, favorire una presenza dentro il Bel Paese, affinché tutto possa esistere, prima che il terremoto dell’indifferenza lasci il vuoto alle nuove generazioni. Su questa idea vorremmo incalzare la politica e magari mettere in atto azioni, insieme. Possiamo farlo, perché in fondo non siamo al mondo per restare soli, ma per godere dello spettacolo dell’altro. È lo spettacolo che, ogni volta che scriviamo la Circolare, cerchiamo di mettere in vista, stupiti dall’iniziativa delle singole persone, da un vino, da un piatto, da un luogo che non c’era, ma che poi diventa una casa per tutti. È l’Italia questa. A cui apparteniamo e a cui vogliamo bene.

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