Con la famiglia Casadei dieci annate di Chianti Riserva Lastricato, un metodo classico ed un bianco, che svelano la grandezza della “Rùfina”

Castello del Trebbio a Pontassieve è luogo storico. Costruito prima del XII secolo, è legato ai Pazzi, la ricca famiglia di banchieri della Firenze rinascimentale che, tra il XII e XIV secolo, aveva acquisito la proprietà di tutti i terreni circostanti facendone la propria roccaforte.
image1.jpgLa sua fama, per il fatto che fu proprio tra le sue mura dove venne ordita la celebre “Congiura dei Pazzi”, appunto, tentativo di destituire l’egemonia della famiglia de’Medici, la più potente dinastia fiorentina, con l’appoggio dell’allora Papa Sisto IV, a sua volta interessato alla loro caduta per motivi economici e politici, con l’aggressione, il 26 aprile 1478, di Giuliano e del fratello Lorenzo de’Medici avvenuta nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore durante la celebrazione della messa, con l’uccisione del primo e il ferimento del secondo che riuscì a salvarsi rifugiandosi nella Sagrestia. Ebbene, se i Pazzi sono il passato, anche il presente, in un certo senso, è di altri “pazzi”, ma con la p minuscola, perché come non considerare una “pazzia”, sana, ovviamente, di quelle che migliorano il mondo, il progetto con cui gli attuali titolari, Anna Baj Macario e suo marito Stefano Casadei, in pochi decenni, hanno fatto diventare il castello, la fiorente azienda vitivinicola apprezzata in tutti i continenti che è oggi? Un’impresa che agli esordi, ai più, sembrò follia, appunto, ma che al contrario, nel tempo, ha detto come Anna e Stefano siano veri “angeli matti”, definizione coniata da Gino Veronelli per indicare quelle donne e uomini geniali, dall’intelligenza rara e dal cuore extra large, capaci di realizzare i sogni più grandi. Quello che han fatto nei loro trent’anni di lavoro, ne è conferma.
image2.jpgOggi Castello del Trebbio non è più luogo dove si consumano lotte di potere e duelli, ma è un autentico paradiso, con una tenuta di 350 ettari, di cui 60 vitati, con una produzione di vini che, in questi anni, ha portato la cantina ad esser considerata una delle più prestigiose del mondo, con una produzione olivicola di pregio, e con spazi di rara bellezza destinati all’accoglienza e al gusto, con linea food, agriturismo e ristorazione.
Per quanto riguarda l’attività legata al vino, il principe del castello è uno, sua maestà il vitigno sangiovese. Ma ad affiancarlo ci sono vitigni anche alloctoni, che, nella sottozona del Chianti Rùfina, dove opera l’azienda, hanno trovato un terroir ideale.
image4.jpgStefano Casadei è un grande imprenditore. Nella vita ha avuto successo lontano da vigne e campi, ma quando parla di sé, si definisce «un agricoltore, figlio di un agronomo, cresciuto in campagna». Dal suo considerarsi orgogliosamente “uomo della terra”, la scelta fatta di operare secondo i principi della biodinamica. Una filosofia che ha ispirato l’azione in campagna, evolvendo poi in un nuovo protocollo etico, BioIntegrale®. Un progetto sostenibile che opera in campo agricolo attraverso l’utilizzo di pratiche biodinamiche, in campo energetico attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili e in campo architettonico con il recupero conservativo degli immobili. E un indirizzo che viene seguito oltre che nel Chianti, anche nelle altre tenute di proprietà, ovvero in Sardegna, nel Sarcidano, con Olianas, dove protagonisti sono i vitigni autoctoni, o in Alta Maremma, con la Tenuta Casadei, in cui i vini hanno stampo internazionale.
image5.jpgDetto che questa visione ha ispirato anche Elena Casadei, la figlia, che da qualche anno ha avviato un suo progetto, “Le Anfore di Elena Casadei”, che promuove un’idea di vinificazione moderna, con uno strumento antichissimo, l’anfora, appunto, in cui realizza sia la fermentazione sia l’affinamento, con il risultato di fare vini che valorizzano il vitigno, il terroir, gusto e qualità delle uve. Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’occasione di ripercorrere il viaggio che i Casadei hanno fatto, con l’emozione di vedere che oggi a dire della loro ricerca costante dell’eccellenza, ci sono anche un metodo classico e un bianco che son vere eccellenze.
image6.jpgDa applausi il Brut Metodo Classico da uve chardonnay (70%) e trebbiano (30%) dal colore giallo paglierino intenso, dal perlage fine e persistente, dai profumi di fiori gialli, note di pesca e albicocca, frutta esotica, dalle raffinate note di zafferano, pepe bianco e miele millefiori, e dal gusto morbido, avvolgente, fresco e sapido.
image7.jpgUn grande bianco il Congiura, da uve pinot grigio (50%) riesling (40%) e manzoni bianco (10%). Giallo paglierino intenso, al naso è elegante, con profumi di agrumi tra cui spiccano limone e mandarino, fiori bianchi e gialli, che ricordano tiglio e ginestra, frutta gialla e note balsamiche di resina ed eucaliptus, sentore minerale di idrocarburo e gesso, dolci note boisè. E quindi rifacendo i passi con cui Anna e Stefano han fatto di Castello del Trebbio una cantina di caratura internazionale, degustando il loro vino più rappresentativo, il Lastricato Chianti Rufina Riserva Docg.
image8.jpgRiassaggiando i millesimi che andavano dal 1990 al 2018, anno da cui il vino viene etichettato come “Vigneto Lastricato Terraelectae Chianti Rufina Riserva Docg”, avendo l’azienda sposato il progetto “Terraelectae”, marchio collettivo fortemente identitario e sigillo di qualità, che impegna i produttori che lo utilizzano a usare le uve solo della propria vigna simbolo, dove il Sangiovese esprime tutte le proprie caratteristiche nel modo migliore, e vinificandole nel rispetto delle regole di un Chianti Rufina Riserva, con il vino che quindi è contrassegnato da tale marchio.
image9.jpgI vini? Introducendo il primo assaggio, nel bicchiere il 1990, il Master of Wine Gabriele Gorelli ha sottolineato che è figlio di un’enologia interventista, che “non si fidava”, che non credeva alla possibile longevità del vino della Rufina.
“La fine e l’inizio di una lunga storia che va raccontata a voce”, ha detto Stefano Casadei, che guidava la degustazione. Alla vista il colore è granato con note aranciate, al naso profumi di erbe aromatiche, note balsamiche e di tamarindo, sentori speziati, in bocca velluto. Un bel campione che parla con la sua freschezza inaspettata della possibile longevità che caratterizza il territorio in cui nasce.
Nel 1993 Stefano Casadei inizia un’esperienza di formazione di altissimo livello. Per due anni è a Bordeaux, e al suo rientro, sulla scorta del know how acquisito in terra francese, decide di realizzare cambiamenti importanti. Al suo fianco, Luca D’Attoma, enologo di razza e suo amico di lunga data. È il 1995, un’annata vendemmiale perfetta, caratterizzata da equilibrio qualitativo e quantitativo, con il vino che ha ancora colore rubino luminoso, bella brillantezza, naso intenso e raffinato, con la bocca che si caratterizza per un piacevole retrogusto di amaretto. Da questo momento prende il via un lavoro incessante di ricerca che vedrà la famiglia cercare le soluzioni che possano assicurare un risultato sempre migliore.
image10.jpgE il 2001 è momento di una prima svolta, con la scelta di utilizzare le barrique, al posto delle botti di castagno. È un anno che parte con un inverno molto piovoso e la primavera viene segnata da una gelata il 14 aprile. Grazie all’assenza di precipitazioni in luglio e al caldo estivo, seppur con un deciso ridimensionamento quantitativo, il livello qualitativo che si raggiunge è ragguardevole. E il vino ora rivela ancora colore vivo, forza, vigore, tannicità, con un corredo aromatico che va dalla frutta rossa al caffè e al cioccolato. Dopo la 2004 (prima annata solo da uve del vigneto Lastricato senza l’utilizzo di uve provenienti dai vecchi vigneti), elegante e dai raffinati profumi floreali e di frutta, con note di susine e spezie. E la 2006, caratterizzata da una stagione estiva calda, con il luglio che ha visto le temperature superare i 37 gradi, dove si è rivelata determinante la primavera contraddistinta da piogge nella media che hanno così permesso alle piante di resistere ai caldi estivi. Nel bicchiere un vino che ha profumi di giaggiolo, cui seguono note di alloro e rosmarino, quindi sentori di frutta sotto spirito, sacher torte e tostato.
image12.jpgRacconta di un ulteriore cambiamento il 2009, quando è stato introdotto l’utilizzo nella lavorazione delle Anfore (due georgiane e due dell’Impruneta). In quell’anno l’estate è molto calda fino alla metà di settembre. E il clima difficile ha reso inevitabile una significativa selezione in vigna ed in cantina sugli acini. Il che ha voluto dire un calo sulla produzione sui valori medi delle annate precedenti di circa il 20%. All’assaggio si presenta piccante, speziato, con note di pepe che si associano a profumi di frutta rossa, e in particolare di ciliegia, con un sorso pieno, e di buona sapidità. Il 2011 – figlio di un’annata molto calda, ed in cui è stata definitivamente abbandonata la scelta di affinare in barrique, con l’affinamento che è avvenuto per l’80% in botti da 20 hl e per il 20% in tonneaux per 24 mesi – conferma quanto aveva detto al suo debutto, ossia il suo essere millesimo quantitativamente scarso, ma eccellente dal punto di vista qualitativo. Ora è in splendida forma. Dal colore rubino di buona intensità, ha naso fruttato con profumi di ciliegia e mora, cui seguono, prima, una nota mentolata e di tabacco dolce, e poi, sentori speziati di cannella e chiodi di garofano, con un sorso austero ed aristocratico in bocca. Il 2013 è un’annata che ancora una volta esalta la vocazione alla produzione di eccellenze, della zona, perché dopo un primo semestre con elevata piovosità e temperature fredde e fresche, e un luglio caldo con temperature oltre la media fino alla metà di settembre, c’è stato l’ottobre più caldo dal 1951. E solo grazie al fatto che nel Chianti Rufina si mantengono gli abbassamenti delle temperature notturne, che il risultato è un vino di classe. Sorprendente l’integrità del frutto, con note di ciliegia e scorza d'arancia, sentori di erbe aromatiche, suggestiva la freschezza, che unita a tannini ancora in evoluzione, dà spinta, per un finale lungo e fruttato. Un’annata molto equilibrata invece il 2015 con primavera nella media e giugno abbastanza caldo, luglio caratterizzato da picchi di caldo, ma agosto che compensa le temperature del mese precedente con alcuni temporali che hanno restituito freschezza ai terreni evitando stress alle viti. Le anfore hanno intanto raggiunto il 100% nella fase di vinificazione. Nel bicchiere sentori vegetali che ricordano la foglia di pomodoro, erbe aromatiche, cacao e cuoio, sorso teso, elegante e strutturato, con piacevole sapidità. Abbastanza fresca per la Rufina l’annata 2018, con un maggio mite ma piovoso, che ha permesso uno sviluppo ottimale della parete fogliare. Poi le temperature sia a luglio sia ad agosto sono state nelle medie stagionali (34/35 gradi), con giorni di pioggia distribuiti tra i due mesi che han mitigato la calura. Con la scelta di uscire con il marchio privato Terraelectae, Lastricato diventa “vigneto unico”. Nel bicchiere un vino che alla vista si propone con un colore rosso rubino con riflessi granati, naso profondo che si apre su note floreali e poi svela profumi di amarena e nuances balsamiche, mentre in bocca il sorso è dinamico con la freschezza che si accompagna a un tannino integrato. È vino di rara eleganza, che esprime in modo mirabile la grandezza del vigneto e del territorio in cui nasce. Classe e longevità.
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