Oltre il Po c'è di più: il doppio binario ad esempio

Degustazione in tre puntate a distanza che ci fatto venir voglia di partire (dal 7 gennaio si spera!)

31.12.2020

Come si crea l’occasione per bere (attenzione “bere", che è un concetto che va oltre a quello di “assaggiare” o di “degustare”). Per “bere” ci vuole un vino che sia "tanta roba",  per capirci, e poi deve avere accanto qualcosa che lo trascini nel gioco dell’accoppiamento. La nostra amica Cinzia Montagna, che vive fra il Piemonte e l’Oltrepo’ Pavese con qualche incursione nel Mantovano, ha riabilitato la schita, ad esempio, che è una sorta di pane fritto (non vorremmo banalizzare la ricetta Cinzia, perdonaci, anche a nome del petauro).

Ebbene, questa ghiottoneria senza companatico serviva alla gente delle campagne per ritrovarsi, magari in una stalla, agli inizi del Novecento, o in un garage fino ai giorni nostri, insomma in posti lontani dall’ufficialità casalinga (bastano un fornelletto da campo e una padella) e dallo sguardo di mogli o di genitori, per bere, con voluttà. 

Ora, gli amici del vino dell'Oltrepo’ Pavese (intesi come Consorzio di Tutela dei Vini dell'Oltrepo’ Pavese, Distretto del Vino di Qualità dell'Oltrepo’ e Consorzio Club del Buttafuoco Storico) hanno accettato di buon grado il coinvolgimento in un progetto ampio voluto dalle istituzioni locali (Regione Lombardia, Camera di Commercio di Pavia, Unioncamere Lombardia) e dalle associazioni agricole di categoria, per incontrarsi tre volte in una video-degustazione coi vini e i prodotti dell'Oltrepo’ pavese, selezionati da un’entità super partes: noi.
Sei vini, tre risotti (ma che roba pazzesca è il Carnaroli da Carnaroli Pavese che mantiene i chicchi turgidi e pieni) aromatizzati ora con i disidratati di ortiche, di peperone di Voghera, di fragole di Rivanazzano; quindi tre salumi (la filzetta, il cresponetto di Varzi, il salame crudo di Canneto Pavese); tre formaggi selezionati da Vaghi (caciotta, taleggio e quartirolo) abbinati a tre mieli monoflora dell’azienda Campo Giardino di Cervesina (acacia, castagno e tiglio) e a tre confetture de I Dossi di Gambolò con cipolle di Breme e albicocche, con sola cipolla rossa e poi con i petali di rosa. Quindi tre dolci (la mitica torta Paradiso di Vigoni, le Offelle di Parona e le ciambelline al riso dell’Offelleria di Parona).

Ora detta così sembra un elenco, ma in verità, pur essendo a distanza, in 100, radunati dalla pasionaria Veronique Enderlin dopo aver spedito a casa di ogni giornalista il kit di degustazione, è stata una felice e bella esperienza che ha dimostrato quanto sia possibile il racconto anche fatto così. Un racconto che è partito con un focus sul Pinot nero, coltivato in ben 4.000 ettari: superba la versione brut, filologica quella vinificata in rosso (eleganza, in entrambi i casi). Quanto c’è ancora da scoprire, dunque, su questo vitigno coltivato in una terra benedetta e bellissima che attraverso questo vino gioca la chiave dell’unicità. Unicità, certo, parola abusata, ma per noi chiarificatrice di cosa abbiamo trovato, in vino e prodotti, che ad esempio non si trovano altrove, non hanno analogie. 
Lunedì 28 siamo invece andati a scovare due vini che rappresentano le “aree di miglioramento” per dirla col gergo del marketing: il Riesling (grandioso vino paglierino brillante – anzi oro – con riflessi verdognoli, che ha tutti i descrittori dei grandi bianchi del mondo, compreso un accenno minerale spiccato) e il Buttafuoco, il grande rosso dell’Oltrepo’, la bottiglia importante, il compagno di arrosti e brasati, mai celebrato e considerato come merita, nei ristoranti che contano (forza amici ristoratori: fate scoprire queste chicche, al Nord come al Sud!). Ora, se per Marco Gatti il Buttafuoco è il vino imprescindibile e non da oggi, per Paolo Massobrio il Riesling è un’appassionante materia di studio per rilevare i cru, o anche solo le aree che ne offrono espressioni diverse e sempre interessanti.
Ma la goduria, nel senso di “bere”, è arrivata mercoledì 30 gennaio con il Bonarda (nell’interpretazione “la Mossa perfetta”) prodotta da chi finalmente ci crede e la mostra col suo colore scuro e concentrato come se la croatina fosse inchiostro. Un rosso brioso, pieno, fruttato, e finanche tannico setoso tanto da pulire il palato alla perfezione (non ditemi che col cotechino di stasera non ce l’avete!). E qui si è aperta una felice considerazione, assaggiando quel Sangue di Giuda, frizzante anch’esso, ma amabile.
Sono infatti i rossi del doppio binario, perché col salame dei Fratelli Daturi (nelle degustazioni precedenti c'era il salame di Varzi di Valverde) e il pane Miccone, il Bonarda va a nozze, ma se nel salame si aggiunge più aglio, allora la goduria è con il Sangue di Giuda. E così col Quartirolo: Bonarda col miele di tiglio ma Sangue di Giuda con la confettura di rose. Col risotto alle fragole, vanno poi bene entrambi, ma la medesima cosa vi invito a fare col cotechino e la verza.
È il doppio binario della goduria oltrepadana, una nuova declinazione del gusto, che riportiamo a voi, cari amici lettori, in questo ultimo giorno dell’anno, che sarà beneaugurante, dopo la mezzanotte, con le lenticchie e con qualcuno di questi vini. Scegliete voi! Intanto Auguri radiosi!

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