Essere degli “EDV”

18.02.2015

Non capita tutti i giorni, anzi non capita proprio mai, da parecchi anni, di trovarsi a cena con i colleghi, per il semplice piacere di ritrovarsi. Eppure io sono cresciuto (professionalmente parlando) attorno a quella tavola a casa di Giacomo Bologna: con Gino Veronelli, Gianni Mura e Francesco Arrigoni. E intorno un pullulare di umanità varia: dal conte Riccardi a Giorgio Grai, dal medico cantautore Paolo Frola a Bruno Lauzi, fino ai seigiornisti che raccoglievano le migliori robiole di Roccaverano. Cosa fa la differenza da quelle cene formali stile “aziendale” dove talvolta ti tocca di partecipare (oddio con i colleghi odierni che manco ti salutano!)? Io credo fosse la musica, il canto, la voglia di ridere e di divertirsi, attorno a quel fantastico mèntore che era e rimane il vino. Detto questo, è bastata una scintilla, ossia un articolo irriverente su Panorama che indicava i sei “nuovi Veronelli d’Italia” (Luciano Ferraro, Luca Gardini, Pierluigi Gorgoni, Andrea Grignaffini, Paolo Massobrio e Davide Oltolini ndr), per trovarci insieme una sera a cena da Sadler a Milano (memorabile il risotto bianco ai funghi porcini con funghi trombetta e oro). Con noi anche Carlo Ottaviano, che ha avuto il merito di lanciare il primo tweet sui nuovi Veronelli d’Italia indicizzato da Google, Federico Menetto che ci ha radunati, Enrico Cecchetti, Marco Tonelli e, in differita, Pier Bergonzi della Gazza Golosa.

Chi siamo, ci siamo detti davanti al Barolo di Mauro Mascarello o al Brunello Le Potazzine? Siamo gli Edv (ebbri di vino?), e ci fa piacere conoscerci. Alcuni li incontravo per la prima volta, altri sono amici (rara avis) di provata durata. In comune mi sembra abbiano tutti una cosa: non se la tirano, non sono il “vangelo” del vino de noantri, ma sentono il limite, come lo sento anch’io, che non si fa massa critica da solitari. Anche perché di Veronelli ce n’è stato uno solo (e sai quanti lo hanno imitato, copiato, editorialmente superato?); gli altri ci provano... e passano: senza canto, senza musica, senza una risata, prendendosi sempre molto sul serio.

Scrivo questo, sorpreso di sorprendermi ancora, alla vigilia del bagno di degustazioni per Montepulciano e per Montalcino, dove incontrerò invece altri (li incontro da anni, sempre quelli) che al massimo fanno ciao, ma non ritengono politicamente corretto fermarsi a parlare, confrontarsi, pranzare insieme. Dicono che i giornalisti più importanti le hanno già fatte le loro degustazioni (le anteprime delle anteprime delle anteprime), mentre noi, come ogni anno, siamo il contorno del comunicato stampa sul rating dell’ultima vendemmia. Vabbè, voglio solo dire che oggi sono in Toscana più ricco degli anni passati, e se incontro qualcuno degli Edv sarà qualcosa di più di un ciao di circostanza (o un ignorarsi, nel mio caso, se si è pari grado di generazione). Concludo questo mio diario di viaggio, solo per ricordare una frase di Giacomo Bologna che ho appeso davanti a me in ufficio: “Costruitevi una cantina ampia, spaziosa, ben aerata e rallegratela di tante belle bottiglie, queste ritte, quelle coricate, da considerare con occhio amico nelle sere di Primavera, Estate, Autunno e Inverno sogghignando al pensiero di quell’uomo senza canti e senza suoni, senza donne e senza vino, che dovrebbe vivere una decina di anni più di voi”.

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