Ma è passato così tanto tempo? Sfoglio la mia Quo Vadis di quell’anno e le croci segnate sugli appuntamenti sembrano un cimitero: il Covid impazza. C’è anche una data, proprio in questa settimana di 4 anni fa che segna la chiusura definitiva dei nostri uffici: l’apertura chissà.
Il 5 marzo di quell’anno ero a Verona per l’organizzazione di Vinitaly and the City, definita ormai al 100%, ma all’ingresso di FieraVerona non mi fecero entrare. Ricordo che riparai nella pizzeria di Guglielmo Vuolo in corso Milano, prima di tornare ad Alessandria. E pochi giorni prima a Milano un amico che lavora a Trenord commentava: “Dicono che vogliono chiudere Milano, ma vi rendete conto che follia?”.
Anche il barista della Certosa di Garegnano ironizzava sulla minaccia di chiudere i bar: “Se uno ha dei sintomi si va a curare no? Cosa c'entra chiudere il bar? ". Dopo qualche giorno furono chiusi tutti i bar del Paese e anche Milano, come le altre città. Non sembrava vero e c’era euforia sui balconi dove la gente sventolava cartelli con la scritta “Andrà tutto bene”, suonando e cantando. Poi, piano piano, seguendo la cronaca e accusando i morti per Covid, l’euforia iniziò a scemare e il silenzio a prendere spazio.

La Pasqua quell’anno era alta, ovvero il 12 aprile, e se non fu una Quaresima collettiva poco ci mancava, anche perché non si vedeva la data della Resurrezione. Ricordo il distacco dai figli, andati a Milano perché era meglio dividerci, e io con Silvana soli, nella nostra casa che tuttavia aveva il giardino.
Io credo che quei giorni siano stati fantastici per certi versi anche se oggi, a distanza di 4 anni, li abbiamo rimossi, come un brutto sogno. Giorni che ci hanno obbligati a leggerci dentro, e anche a cercare di uscire dall’isolamento. Quante telefonate: sul balcone, in giardino, fino alla sera tardi, alternando la scrittura che iniziava a occuparmi per almeno 12 ore al giorno. Avere gli amici è stato importante e il mio gesto di amicizia fu chiedere a chi conoscevo di regalare ogni sera, verso le 18, un pensiero, una poesia, una canzone.
Ogni settimana poi redigevo un numero speciale della
Circolare del Club di Papillon, che veniva pubblicata on line su questo portale, che intanto si arricchiva dei
pensieri della sera, ma anche degli
Auguri di Pasqua o dei
tutorial di ricette o degli
esercizi fisici da fare in casa.
E poi le
degustazioni, ogni sabato, cercando in cantina le bottiglie più vecchie, pensando che fossero da scartare e invece nascondevano sorprese, come quella
Barbera del 1981 di
Augusto Massa, integra.
Un giorno suonò alla porta
Massimo Camia, che
da La Morra mi aveva portato il
pranzo di Pasqua, mentre Raffaella Bologna mi inviava tutti i suoi vini in tre formati perché immaginava che avessi sete. Affetto, anche questo c’è stato.
Da quell’esperienza nacque anche un libro.
“Del Bicchiere Mezzo Pieno, quando nella vita conta lo sguardo” che mi procurò 50 incontri on line, alcuni davvero commoventi.
La
prima uscita,
con Marco Gatti, fu solo a maggio,
al ristorante di Daniel Canzian con il maestro Giuseppe Vaccarini: avevo la barba lunga e Giuseppe volle darci la lettera ufficiale che saremmo diventati soci onorari dell’Aspi.
È stato un periodo eccezionale perché il desiderio di vivere ha messo in moto tantissime iniziative, concentrate in un arco di tempo ristretto, anche se poi sono arrivate altre chiusure, dopo l’estate e ancora nel 2021.
Oggi voglio riproporvi
qui quella raccolta di pensieri della sera, che ieri sera (domenica) ho spulciato, ascoltando canzoni struggenti come
“Stringimi forte, abbracciami” di Giorgio Conte,
“Mi manchi” di Franco Fasano o
“Volevo scriverti da tanto” di Mina cantata da Teresa Dondi. E poi le poesie, come quella di Alberto Mina o la lettera che Silvana ha letto, di quella sua amica infermiera, Franca, che ha vissuto il dramma del Covid in una Rsa, scoprendo che esiste la Provvidenza. Quante cose ci siamo detti “quando sta per scadere il tempo” (per usare le parole di Conte), e quante abbiamo smesso di dirci, ora che sembra tornata la normalità, la libertà. Ma la libertà di che?