La tradizione del peposo

Una casa su un pianoro circondato dal bosco, una cucina casalinga, di sostanza, realizzata con ottimi ingredienti locali fanno di questa trattoria un luogo in cui si vuole ritornare

06.01.2018

A volte capita di scrivere di un ristorante parlando d’altro, non perché i piatti non servano a sbrogliare il racconto ma poiché altre componenti - di atmosfera e sensazioni - predominano e si rincorrono tanto da fondersi. I Lecci di Castiglione d’Orcia (Si) è forse ancora poco conosciuto, noi ci siamo capitati (SP 18/Dorsale del Monte Amiata km 4.4 - tel. 0577 887287) la prima volta per caso, seguendo il filo della scoperta e non il tam tam popolare.

E, seguendo quell’ideale racconto, immaginate che una mano abbia posato questa casa su un pianoro dove tutto attorno è bosco, fitto e un po' arruffato, così selvatico e defilato che bisognerà avvicinarlo piano piano perché, solo a tu per tu, capirete che dalla strada non avevate percepito l’insieme e che dietro c’è altro. E i piatti riflettono un po' tutto questo, come a volte succede con certe persone che sembrano distanti ma, sotto sotto, in realtà più avvicinabili di quanto si pensi. Girato l’angolo, sarà spettacolare la terrazza adatta a far tardi la sera guardando le luci o godendo degli interni di casa calda e accogliente, con l’ingresso che si allunga nel bancone bar con la lampada accesa.

E, pari all’atmosfera, troverete ricette terragne e casalinghe, senza inutili pose, perché la sostanza è tutta nella località degli ottimi ingredienti. Lo capirete dai salumi e formaggi locali e dalla tartare di Chianina, proseguendo con la buonissima crema di ceci e tagliolini con olio nuovo, zuppa di funghi e castagne, crema di verdura di stagione, pappa al pomodoro. Come pasta fatta in casa abbiamo assaggiato, in diverse occasioni, i pici con l’anatra, gli strozzapreti impastati con il Brunello e conditi con sugo bianco di Cinta, le pappardelle ai porcini, gli gnocchi con sugo di cinghiale, le tagliatelle con sugo di lepre.

La tradizione si fa sentire nel peposo che è come un po' un abbraccio, nelle tante carni come il filetto di Cinta, il cinghiale alla cacciatora o il maialino al finocchio. E anche i contorni (che sembrano e non sono solo questo), risultano sostanziosi e quasi più piatti a sé, come il tortino di cavolo nero con crema di pecorino e zafferano, quello con porro e cavolo bianco o i fiori di zucca fritti.

Si chiude con dessert tradizionali come millefoglie con crema, lamponi e scaglie di cioccolata, zuppa inglese e semifreddo al caffè, in un locale dove torniamo sempre volentieri e che merita ancora tanti altri assaggi.

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