Terza domenica… in cantina

Andando indietro nel tempo, nella cantina di Paolo Massobrio

06.04.2020

Basteranno tutte le domeniche di #iorestoacasa per sentire il polso della mia cantina? Chissà, intanto ieri ho aperto altre 50 bottiglie, nel pomeriggio, con assaggi in tempo reale e scoperte di longevità che non mi aspettavo. Vediamo un po’.

QUEI SAUVIGNON LONGEVI FRA FRIULI E ALTO ADIGE E IL FUORICLASSE DI ANGIOLINO MAULE

Alla fine degli Anni Novanta, una sera al Cascinale nuovo di Isola d’Asti mi trovai a cena con un nugolo di produttori che pendevano dalle labbra di Josko Gravner. E fra questi i fratelli Vodopivec di Sgonico che mi fecero assaggiare un bianco frutto di un vitigno raro, la vitouska di Colludrozza. Ora, Paolo, che è presidente dell’Associazione Vini Veri da pochi mesi, l’ho incontrato ad Assisi il 13 gennaio, ma non ricordavo di avere ancora in cantina una sua bottiglia. Che ho aperto: 1997. Un bianco che aveva note maderizzate e mandorlate, ma che è risultato piacevolissimo, ancora avvolgente con un’acidità che spinge ancora, nonostante il colore ambrato. Un bianco che nel tempo ha mantenuto le sue caratteristiche di freschezza e unicità.

La miglior bottiglia, tuttavia, è stata l’Isonzo Friuli Sauvignon “Dom Picol” di Lis Neris di San Lorenzo Isontino (Go). Talmente buona che poi a cena abbiamo terminato la bottiglia. Qui il colore era quello dell’oro, al naso profumi fruttati pieni di polpa (senti la pesca) e anche qualche nota di the. Un vino spettacolare, vivo, con un’acidità profonda, spiccata, ampia. Da non credere!
Del 1998 era invece la bottiglia di Biancolella “Epomeo” Tenuta Frassitelli di Casa d’Ambra a Ischia. E non avevo dubbi che dal colore ambrato potessi avere la soddisfazione di gustare quella trama fine e di stoffa.
Grandioso, il Pico dei Laurenti 1997 dell’azienda La Biancara di Angiolino Maule di Montebello Vicentino (Vi). Un vino cult, dove devo riconoscere che diventa sempre più grande più passa il tempo. Al naso ti colgono piacevolissime note di frutta sotto spirito con un che di metallico. In bocca un corpo infinito, rotondità, freschezza e poi sentori pieni di frutta secca. Un bianco che ha le sembianze di un vino rosso. Non ho avvertito punte di ossidazione, ma il piacere di quella leggera liquirizia che ti insegue in gola. Questo produttore, come mi ricordò un giorno al telefono Gianni Masciarelli, è veramente un grande.
Altra bottiglia grandissima, che è migliorata con il tempo è poi l’Alto Adige Sauvignon “Lafòa” 1998 della Cantina di Colterenzio di Cornaiano (Bz). Lo osservi nel suo colore giallo limone, e al naso avverti i descrittori precisi di questo vitigno le cui uve sono state elevate in botte piccola. E senti ancora quelle note di legno che diventano piacevoli nei bianchi ancora dopo tanto tempo. Grandissima eleganza, una bottiglia davvero da ricordare.

I ROSSI INTORNO AI VENT’ANNI DI INVECCHIAMENTO  

Fra i rossi che hanno passato l’esame dei vent’anni, ecco un Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo "Villa Gemma” di Gianni Masciarelli di San Martino sulla Marrucina (Ch), annata 2000. E mi ha colpito che avesse ancora intatti tutti gli attributi, con quella indomita liquirizia che accompagna tutto il sorso.

Grandioso il Dule 1998 di Gabbas di Nuoro dove viene fuori la tipicità, il fruttato esaltante, lineare con quella frutta sotto spirito che chiude un sorso amaricante.
Ma fra i rossi vince su tutti i fronti il Salento Rosso delle Tenute Rubino di Brindisi anche se l’annata è più recente: 2007. Qui c’è il “cavallo sudato” di Veronelli al naso, ma anche un sorso filigranoso, incisivo, ancora allappante e speziato. E’ una delle nostre cantine del cuore e non è escluso che nelle prossime domeniche troveremo bottiglie più anziane, avendolo premiato fra i Top Hundred (top dei top) nella prima edizione del 2002.
E qui mi viene da pensare che i leader vengono fuori proprio sul tempo. Uno di questi è Moroder di Montacuto (An) con il suo Rosso Conero 1998 dalle note minerali calde, dove avverto la grafite e le spezie in un equilibrio amaricante placido. C’è sostanza vera in questo bicchiere.
Il Brunello di Montalcino riserva 2000 di Donatella Cinelli Colombini di Trequanda (Si) mi ha trasportato con la sua intensità e la volatilità della viola. Avverti note di confettura e anche metalliche, e poi un’imperiosa eleganza che si completa con i suoi tannini fini.
Sempre dell’annata 2000 ho aperto con trepidazione la bottiglia di un grande, Giobatta Mandino Cane, vignaiolo in Dolceacqua (Im). Il suo Rossese di Dolceacqua Superiore “Vigneto Morghe” aveva il colore aranciato delle case liguri. Al naso senti la terra, la liquirizia e poi quelle note pregnanti mutuate dalle sue uve. “Ti sto bevendo tutto!” ho scritto quasi come un messaggio al cielo a Giobatta che ci ha lasciati solo qualche anno fa. In questo vino ho sentito la sua mano, la sua simbiosi con la terra. E’ lui! L’ultima che ci siamo salutati era al castello di Dolceacqua. Sapeva che ero lì per un convegno e ha voluto salire a piedi fin su. E’ arrivato col fiatone e quando mi ha visto, con la sua modestia m’ha semplicemente detto “Volevo solo stringerti la mano”. Non lo dimenticherò mai!
Intorno all’anno 2000 ecco il Montefalco Rosso 2002 di Caprai Montefalco (Pg), un vino che ha ancora stoffa, frutta sotto spirito ed incenso e poi tannini da vendere. Una bella soddisfazione, avendone altre tre bottiglie.
E che dire del Cabernet 1998 “Vigne Pozzare" di Piovene Porto Godi di Toara di Villaga (Vi)? Lo porti al naso e le sue note erbacee tipiche si mostrano intense e persistenti. Senti il prato con le sue erbe officinali. Piacevolissimo e coi tannini ancora vivi.
Chiude la serie un San Colombano rosso, il Banino 1997 Riserva di Antonio Panigada di San Colombano al Lambro (Mi) che risulta pazzesco per il suo regalo di equilibrio. E senti ancora quella nuance contadina che un tempo era “ridotto” mentre oggi racconta il miracolo della freschezza.

VINI MOLTO SOTTO L’ANNO 2000

Non pensavo, e faccio il mea culpa, che il Notarparo di Cosimo Taurino di Guagnano (Le) fosse integro come l’ho trovato. Ed era del 1995. Al naso avverti un ampio spettro fruttato, con il piacere di una prugna matura ben presente. E’ morbido ed ha ancora una nervosa tannicità che nel complesso lo rende ghiotto.

Dell’azienda Bucci di Ostra Vetere (AN), ho assaggiato due annate di Rosso Piceno “Pongelli”: il 1998 e il 1995. Bè ha vinto il più anziano che era più equilibrato, fresco, tannico, con quelle note speziate di grafite invitanti. Bravo Ampelio, interprete scurpoloso di ogni annata.
Due annate anche per il Bolgheri “Vigna al Cavaliere” di Michele Satta di Castagneto Carducci: il 2000 e il 1993. Be', il 2000 ha vinto perché ha ancora freschezza da vendere ed è espressivo nella sua profondità, però che grande annata quel ‘93 dove emerge una liquirizia fruttata, da un profumo terroso. Ne accarezzi la speziatura e la fragranza e mentre lo assaggi non ti sembra vero che sia un vino tutto da bere ancora.
Notevole è stato poi il Rosso Lazio Montiano 1995 della cantina Falesco di Montecchio (Tr). E qui davvero chapeau ai fratelli Cotarella, perché non c’era nessuna nota ossidativa, ma un effluvio di spezie e quella prugna in confettura bella piena. Molto piacevole, rotondo, equilibrato, caldo avvolgente. Davvero una sorpresa.
Eccoci poi al Merlot riserva Sossò di Livio Felluga di Brazzano (Go) annata 1994. Un vino che sembra un soldato in piedi, austero, con quelle note di incenso al naso e poi la placida trama amarognola di un sorso ancora intrigante.
Cinque asterischi pieni, poi, per il Collio Merlot 1990 di Radikon di Oslavia (Go), che sinceramente mi ha commosso. Ci colpì quando io a Marco lo premiammo fra i Top Hundred, mi ha colpito ora nel sentire quell’invasione aromatica al naso, potente, fra la confettura di fragole e quella di prugne selvatiche miste a spezie ed erbe officinali. E più lo ossigeni più emergono le note balsamiche, la tannicità che ne rimarca la vitalità, insieme alla freschezza per un sorso setoso, davvero inenarrabile. (Ora capisco le emozioni che prova Rino Fontana, il maestro che mi introdusse all’assaggio delle bottiglie di grandi annate).
Del 1990 era anche il Franciacorta rosso di Cà del Bosco di Erbusco (Bs), che ha tenuto molto bene i suoi 30 anni, con quelle note erbacee ancora vive e un piacevole equilibrio.
Quindi ancora Francesco Pecorari di Lis Neris col il suo Rosso (vino datavola) graffiante, ancora fresco e scalpitante, nonostante l’età.

E che dire del Rubesco “Vigna Monticchio” 1990 di Lungarotti di Torgiano (Pg): questo loro Torgiano rosso riserva messo in commercio dopo 10 anni. Davvero superbo e già al naso avverti che è un vino che spalle grandi. Fra i rossi spicca fra i migliori e rimani colpito dalla sua coerenza che significa lenta maturazione negli anni, mantenendo ampiezza, profondità, freschezza e tannicità. Ci sono cenni, ma soltanto cenni di frutta sotto spirito, per il resto è un vino enorme.
L’ultima bottiglia di questa serie è una chicca che introduce alla sezione del Piemonte. Ed è la Barbera superiore del Colli Tortonesi 1981 dei F.lli Massa di Monleale, in questo caso il vino del papà di Walter, Augusto Massa. Ho mandato la foto a Walter e lui mi ha scritto che il 1978 che ha in cantina è ancora più buono ma non saprebbe dirmi se ha la medesima finezza di questo 1981. Ma che roba una Barbera ancora piena nel colore che vira all’aranciato.

Al naso senti le sue note fruttate integre, la piacevolezza della fragola, e nulla che faccia pensare a ossidazione. In bocca ti insegue l’acidità della Barbera e la frutta sotto spirito, in particolare le ciliegie. Sembra sentire raccontare il territorio (la ciliegia di Garbagna, le fragoline profumate di Tortona…). Ma che piacere questa bottiglia, davvero inaspettata. Ora si capisce che i grandi vini di un produttore che ha fatto molta strada sono anche il risultato di un territorio evidentemente vocato e di una pratica enologica sapiente, che si è tramandata di padre in figlio.

P.s. (Io mi ritrovai a piangere, quando avevo 23 anni, davanti alla perfezione di una Barbera del 1982 di Dario Solive di Cortiglione. Ma questa Barbera del 1981 oggi mi ha commosso allo stesso modo.)

UNO SQUARCIO DI PIEMONTE

Ed eccoci con una prima sorpresa piemontese: un vino dolce, di 10 anni, che non immaginavo così fragrante. Un Quagliano delle Colline Saluzzesi, prodotto da Bonatesta Rovere di Saluzzo (Cn). Al naso senti le mele cotte, ma poi una fragranza data anche dalle bollicine intonse e ballerine, ancora viva e avvincente.

Bravissimi quelli della Cantina Sant’Agata di Scurzolengo con il loro Ruché 2004 che porta il nome di 9.99. Bravi perché non è scontata la longevità di questo vino e invece eccolo con le sue note tipiche di rose, molto intense. E’ un Ruché ancora interessante e pieno. Un Ruchè che insomma c’è!
Sempre di Castagnole Monferrato segnalo la Barbera d’Asti superiore 2001 di Ferraris & Gatto che dice la sua, con un frutto ancora presente. Austera e speziata è la Barbera d’Alba “Ginestra” 2008 di Paolo Conterno di Monforte d'Alba (Cn).

Mentre esprime il suo cuore di frutta piena e un che di inchiostro, la Barbera D’Asti superiore “Violanda” 2007 di Dario Cocito di Agliano Terme. Nessun cedimento ma l’offerta della mandorla sul finale fresco e imponente. Profumata Barbera!
Colpisce il Rosso “Rangone” 1995 (è un pinot nero, che non mi pare sia più in produzione) di Cà Viola di Dogliani (Cn) dove senti ancora quelle note surmature di frutta rossa (piccoli frutti), la mineralità e tannini ancora scalpitanti. E qui c’è la mano di Beppe, che con Simonetta porta avanti questa cantina esemplare.
Sorpresa grande nel Monferrato, ovvero ad Alfiano Natta nel Castello di Razzano dove Augusto Olearo è stato messo alla prova con due vini del 2004: la Barbera d’Asti superiore Vigna “Valentino Caligaris” e la Barbera d’Asti superiore “Campasso” che resta una cosa seria. Austera, perfetta, ritta, fresca, minerale con una profondità davvero sorprendente. Calda e speziata risultava invece l’altra. Due grandi Barbera.
E Infine Franco Martinetti di Torino, di cui ho assaggiato il suo Barolo 2015 alcune settimane fa, ma la bottiglia del 1997 mi ha incuriosito parecchio. Ed eccolo, infatti, elegante e speziato, armonico e rotondo come lo ricordavo, con la sua trama fine di tannini e quelle note di incenso tipiche di questo vino dove nel sottofondo trovi la viola e la liquirizia del mio amico, e maestro, Nico Orengo.
Del 1999 era invece il Monferrato Rosso Sul Bric, dove vince la freschezza della barbera di Vinchio, sulla piacevolezza che offre il cabernet in assemblaggio. Chiedetemi se sono felice?

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