Il ricordo di Paolo Massobrio per un grande uomo del vino italiano

Perché lo chiamassero ancora Michelino, nonostante i suoi 88 anni, è assai curioso, ma in quel diminutivo c’è tutto l’affetto che la gente provava per un uomo come lui. Figlio di viticoltori, si diplomò alla Scuola enologica di Alba per poi essere imprenditore in prima persona di quella che inizialmente era la la cantina Duca d’Asti, che poi assunse a pieno titolo il suo nome, in quel di Calamandrana.

Il mio primo incontro con lui fu un segno del destino: era l’estate del 1983 e stavo tornando da una breve vacanza in Sardegna coi compagni di studi dell’Università Cattolica. Sbarcato a Genova feci l’autostop e con un passaggio non fu difficile arrivare a Tortona. Più arduo sarebbe stato raggiungere la meta: Abazia di Masio, località Diridina. Al casello dell’autostrada, accettò la mia richiesta un signore che guidava un'Audi. Salii e iniziò subito una conversazione dove io gli chiesi che lavoro facesse: “il produttore di vino, nella zona di Nizza” mi disse. Ed lo incalzai, suggestionato da un trafiletto che avevo appena letto sul Corriere della sera circa l’arresto di alcuni vinnaioli che erano stati scoperti ad aggiungere zucchero nel mosto: “Una terra di sofisticatori a quanto si dice…”.

Al che quel signore mi diede l’impressione di sobbalzare sulla sedia dell’auto e con pazienza provò a spiegarmi cos’era il mondo del vino per lui. Mi portò fin sulla soglia della mia casa, spiegandomi cos’era il marketing e la fatica a raggiungere una piccola percentuale di penetrazione del consumo di Barbera negli States. Ora, per me il vino era mia nonna che raccoglieva l’uva è la portava alla cantina sociale dei Mogliotti, era mio cugino Carlo che faceva altrettanto e tutto finiva lì. Mai avrei pensato a un marketing così ragionato. Due anni dopo lo interpellai di nuovo, fra i primi, perché avevo deciso di fare una tesi sul mercato del vino in Italia; nel frattempo avevo conosciuto Giacomo Bologna e pian piano altri del mondo del vino.

Quando nel 1986, appena laureato con soddisfazione andai a svolgere il servizio militare nella caserma di aviazione di Castello d’Annone, Michele Chiarlo era il presidente del Consorzio di Tutela del Barbera d’Asti e toccò a lui andare in televisione a difendere il vino italiano che era al centro delle cronache per via dello scandalo del metanolo. Ed è li che lo apprezzai di nuovo, col suo aplomb da signore d’altri tempi, che metteva la sua faccia per difendere, anche dagli attacchi subdoli delle tecniche televisive a cui non era abituato, il vino, qualcosa che gli era stato consegnato da suoi avi e che era diventata la sua assunzione di responsabilità.
chiarlo2.jpgLa CourtQuando poi diventai giornalista a tutto tondo, fui  con lui quando apri la sua Court a Castelnuovo Calcea, il geniale parco artistico dentro a un vigneto, che precedette la riqualificazione del borgo di Cerequio a La Morra. Alberto e Stefano, i suoi due figli, proseguono con determinazione la sua attività, che in primis mette al centro la Barbera (appena tornerò a casa aprirò i Cipressi) ma anche il Barolo, il Moscato, il Gavi.

Dire che Michele Chiarlo ci mancherà è pleonastico: a questa epoca mancano davvero i signori d’altri tempi, che avevano rispetto, simpatia umana e determinazione. Michelino era uno di quelli. Non lo scorderò mai, come mai dimenticherò i suoi dialoghi, la sua amicizia, le sue relazioni speciali (con Renato Ratti, ricordo bene). Ciao Michelino, c’è da essere orgoglioso per ciò che hai costruito, ciò che hai difeso e soprattutto per la tua bellissima famiglia.

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