“Mi occupo di eventi” risponde la tipa col tacco 12 (ma la minigonnazza non ce l’ha più? E’ passata di moda?). Eventi? Che genere di eventi? Terremoti, alluvioni, incendi? Ah, ho capito: festicciole! E lei si gira di spalle offesa, umiliata, sminuita, quasi incredula che in quella “location” (ma se è un bar!) qualcuno abbia usato la parola festicciola, che anziché l’oratorio oggi evoca il puttanaio. “Mi scusi... provi a dirle, mentre smanetta nervosamente sul cellulare, chattando su WhatsApp con un’altra amica, che le siede di fronte. Il rapporto oramai s’è rotto, ma avete presente cosa sta succedendo a Milano in questo periodo? Eventi su eventi, ognuno con una, due, tre pierre e sempre con tanto cibo. Pare che le richieste di aperture di nuovi locali in città siano oltre 500, che dovrebbero esaudirsi nei prossimi giorni. Ed ogni locale farà un evento, dentro a un altro evento di zona, accanto all’evento degli eventi, che è nella zona Rho Pero: l’Expo. Tanto, troppo, tutto e di tutti.

Ma cosa significa fare un evento? Me lo chiedo ogni volta che mi accingo a invitare qualcuno, dalla conferenza stampa a qualcosa di più. La domanda che sempre mi faccio per le mie Golosaria, che sono due feste, una itinerante fra 30 paesi del Monferrato, castelli e cantine (in programma il 18 e 19 aprile) e una stanziale (al MiCo di Milano dal 17 al 19 ottobre).

Regola numero 1: chi invita? Chi è il soggetto? Perché mi devo fidare di lui? Nella stragrande maggioranza dei cosiddetti eventi, manca il soggetto, pensando invece che sia il contenuto (il cibo, il vino, la moda...) il movente di tutto. Ma questo vale per alcuni casi circoscritti e clamorosi (il Salone del Mobile, Artigiano in Fiera), non per tutto, ovviamente.
La regola numero 2 vale invece per tutti (clamorosi e piccoli): il racconto. Quale racconto c’è sotto l’evento, quale valore, quale emozione potrò ritrovare, o nella quale riconoscermi? Ebbene il racconto si fa con un narrante, capace di raccontare chi c’è in quella festa e perché vale la pena esserci. Una delle parti più importanti è infatti il calore della comunicazione via internet, attraverso un sito dedicato all’evento (il mio è www.golosaria.it ed ha persino una parte di diario di vita) con una pagina facebook, un canale su youtube e un account su twitter almeno. E qui la sorpresa è scoprire che le pagine più visitate sono proprio quelle dedicate al racconto di chi viene ad esporre. Che resta qualcuno che è stato scelto da un soggetto, di cui abbiamo imparato a fidarci.
Terza regola: l’entusiasmo. Senza entusiasmo non si comunica, senza passione non si coinvolge.
Quarta regola: viralità. L’evento funziona quando il suo sentiment diventa virale. Che vuol dire ? Che ne parla il taxista, la vicina di casa, il barista, ma anche l’amico di facebook. Vuol dire che la comunicazione, giunta da varie fonti, ha colpito nel segno: se ne parla.
Quinta regola: divertirsi. Chi promuove un evento, sia esso organizzatore o comunicatore, deve divertirsi, deve impastarsi, deve mostrare che funziona prima di tutto per lui. O per lei. Ma questo non può essere uno sforzo: un evento è bello, perché è stato pensato, concepito, coccolato oppure non lo è. E quindi non c’è sforzo che tenga.
Sesta regola: la qualità in tutti i particolari, soprattutto quelli del cibo e del vino (guai al bicchiere di carta e al vino che costa meno: avete già perso. Il vino deve essere scelto e distintivo). Cibo e vino hanno subito un effetto interattivo con la persona, sono un biglietto da visita.
Ultima regola, la numero sette: l’arrivederci, ossia la continuità di un incontro, perché le cose che hanno valore non si esauriscono nel tempo stesso dell’evento, ma sono prodighe di relazioni ulteriori. Vabbè, tutto questo per dire: vediamoci a Golosaria nel Monferrato, ci divertiremo!

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