Il clamoroso locale di Filippo La Mantia a Milano: al piano terra c’è lo spazio lounge, al piano superiore il ristorante dove gustare i sapori della cucina siciliana tradotti in proposte intriganti

Il locale di Filippo La Mantia in piazza Risorgimento a Milano (Filippo La Mantia - Oste e cuocotel. 0270005309) è semplicemente clamoroso. Ci arrivi con l’auto e c’è un comodo parcheggio sotterraneo che sbuca proprio di fronte, là dove apriva un tempo il Gold di Dolce&Gabbana. Entri e, a parte gli invitanti tavolini di fuori, il piano terra è un immenso spazio lounge dove dal mattino presto vanno in scena colazioni ghiotte. Ma fino a sera tardi ci si attarda nei vari spazi, ampi, dove ritrovarsi con amici a bere qualcosa ma anche a mangiare velocemente. Il ristorante è al piano di sopra, in uno spazio speculare a quello sotto.

I rivestimenti dei gradini per salire sono un po’ usurati e non sono un bel biglietto, ma quando arrivi sopra le luci soffuse, i tavoli ben preparati, l’ambiente anche qui ampio è davvero bello. La cucina è praticamente a vista, nel senso che intravedi i cuochi lavorare, sia nella cucina sia nel reparto pasticceria. Ed è sempre pieno di gente, che viene qui per la cucina siciliana di questo chef, che ha tradotto i sapori della propria terra in una proposta intrigante. Prima di venire abbiamo atteso un po’ di tempo, ascoltando pareri discordanti. Ma sono i siciliani i più severi, fin troppo devo dire, dopo la nostra prova veramente avvincente. Qualche incertezza nel servizio, soprattutto quando chiedi notizie sugli ingredienti, ma per il resto chi ci serve i vini è un gran professionista e non disdegna proposte a bicchiere.

Filippo La Mantia ogni tanto esce a dare un’occhiata alla sala, e quasi sempre è attorniato da camerieri che portano in trionfo una arancina a pera che dice “mangiami”. Buono, lo abbiamo assaggiato, così come abbiamo subito ordinato il piatto simbolo, che è la caponata. Ma che dire delle frittate, eccezionali. Ora, la caponata di melanzane di cui dicevamo è servita con una salsa al Marsala “Vigna La Miccia” di Marco De Bartoli, ma c’è anche il panino con la milza “maritatu” e patatine fritte e l’ottimo sgombro panato, arrostito e accompagnato da una salsa al pistacchio. In agrodolce è il baccalà panato. La nostra frittata era con la cicorietta, la tuma persa, il cappero e l’acciuga. Imperdibile. C’era anche quella con gli spaghetti “rimasti” al sugo e caciocavallo.

Fra i primi, lo spaghetto alla Norma con ricotta salata, il pacchero al pesto di agrumi e polpettine di vitello, la busiata trapanese con le sarde, il finocchietto e la mollica di pane tostata. E il cous cous all’insalata di finocchi, arance, capperi e calamari fritti. Vorresti tutto, ma qui si deve tornare più volte in verità.

Ancora pesce fra i secondi con la ricciola agghiotta, gli involtini di pesce spada con insalatina di seppia e meloncino, le aeree frittelle di baccalà, finocchio al vapore e salsa del finocchietto (spaziale!). Piatto imperdibile è il braciolone alla palermitana con la salsa alle mandorle tostate, accanto alle polpette ai tre ragù fritte e passate nel sugo e alle braciolette di vitello ripiene con caponatina di carciofi. E l’arrosto panato con le patate a spezzatino?

Sui dolci non ci siamo fatti mancare nulla: “la nostra” sette veli con mousse al cioccolato, bavarese alle nocciole pralinate, croccante al pistacchio e biscotto al cioccolato; la cassata siciliana; il cannolo palermitano; la tortina Savoia. Da rivedere le granite, per il resto è stata un’esperienza davvero esaltante.

Filippo ha un’idea chiara: trasmettere con le sfumature degli agrumi e delle spezie una sensazione di leggerezza nei suoi piatti tradizionali. E questo fa la differenza e rende memorabile ogni boccone. Una gran bella esperienza. Una corona.

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