Cucina tradizionale giapponese e cocktails d’ispirazione orientale

A Ginza, fin dal 1928, c’è il bar Lupin, come il famoso ladro. Questo venerabile locale era molto amato dai letterati del periodo Showa e fu sostenuto fin dall'inizio da scrittori come Yasunari Kawabata e Osamu Dazai e divenne anche una casa per pittori, attori e fotografi. Il menu è modesto con una selezione di whisky, bourbon e cocktail ma, con la sua collezione di fotografie di scrittori scattate dai fotografi dell'epoca, è il luogo perfetto per discussioni letterarie intellettuali. Ci ha lavorato per oltre cinquant’anni Takeshi Takahashi, grande miscelatore di cocktails, di aneddoti e di sorrisi. E’ solo uno (ve ne parlo perché ci sono stato e mi piace molto) fra le centinaia di bar importanti di Tokyo. Ce n’è per tutti i gusti: storici o di tendenza, con vista panoramica, specializzati in Whisky o con qualche altra particolarità, alcune anche strane. I bartenders giapponesi, fra cui ultimamente vanno alla grande preparatissime ragazze, sono fra i migliori miscelatori del mondo da prima della guerra. Merito della passione giapponese per tutto quello che viene da fuori, per gli alcolici in genere e dell’abitudine a fare quattro chiacchiere al bancone, soprattutto dopo il lavoro, rilassandosi e lasciandosi un po’ andare.

La tecnica di miscelazione giapponese, concentrata sul preparato e aliena da spettacolarizzazioni circensi all’americana, ha due differenti linee: quella che viene chiamata Omakase, cioè “fai tu”, dove il cliente si affida completamente al barista e la Ichigo Ichie, “ogni incontro è irripetibile” dove, con poche parole, bisogna capire non solo i gusti del cliente, ma anche il suo stato emotivo per servire una bevanda perfettamente adeguata al momento.

Di questo parlavo con Samuele Lissoni, ispirato bartender del Kanpai di via Melzo a Milano, suggestivo locale ispirato alla Tokyo Urban e Underground, aperto a gennaio 2018 da tre ragazzi appassionati di Giappone, Hippolyte, Enrico e Josef. Al Kanpai si può mangiare in stile izakaya di classe, bere sakè, vini naturali su una carta stringata ma attenta e, naturalmente, cocktails.
Samuele Lissoni è elegante e misurato nei gesti, dice: “I più quotati cocktail bar nipponici non usano la macchina del ghiaccio. Ogni giorno acquistano una lastra di ghiaccio purissimo che viene lavorato al momento. In Kanpai non utilizziamo questa tecnica, per questioni logistiche e di stoccaggio, anche se le confesso che ci stiamo impegnando per renderla fattibile in futuro". L’apposita carta, ricca e ben costruita, dove nomi e ingredienti hanno suggestioni giapponesi e sciroppi, succhi e infusioni sono preparazioni del barista, permette sia di limitarsi a una buona bevuta, sia di fare un divertente marriage con la cena, scegliendo tra coktails quasi tutti ben adattabili ai cibi serviti.
Io ho bevuto: “Road to Tokyo”, gin al basilico, vermouth dry allo shiso, succo fresco di lime, sciroppo di pimento; “The Moon”, vodka, shochu, the matcha, succo di yuzu, sciroppo alo pepe di Sichuan, alchechengi fresco; “Takeshi Kitano”, tequila reposado alle 7 spezie, sciroppo di cetriolo, succo di lime, sale di umeboshi e, per finire alla grande, “Kanpai Higball”, Nikka blended whisky, sciroppo di cardamomo nero, tè bancha.

La cuoca è giapponese di Tokyo, Jun Giovannini (ha preso il cognome del marito italiano). Ha lavorato a Milano da Zero e da Gong, ha occhioni grandi, è appassionata di vini naturali e non voleva più fare la cuoca. E’ stata tentata dai tre marpioni italiani che le hanno proposto di scegliere anche i vini del ristorante ed eccola qui.
Ho mangiato: sgombro marinato in aceto di riso, verdure grigliate in purea di piselli, udon in brodo dashi bianco con salsa yakiniku di melanzane affumicate, tonkatsu (cotoletta impanata alla giapponese) su purè di patate e taccole, nasunaghi cioè una ciotola di riso con melanzane brasate e marinate poi cotte al forno che imita con splendore la preparazione giapponese dell’anguilla. E infine uno straordinario Okonomiyaki (una specie di pizza di Osaka cotta alla piastra) con verza, pancetta, calamari e nero di seppia. Poi il dolce della casa, un tiramisù al tè verde. Porzioni giustamente ridotte per chi vuole assaggiare un po’ di tutto e, soprattutto, bere molto con una cucina da donna creativa, delicata, fantasiosa e divertente. Ed è bello che la liturgia dei cocktails, senza dimenticare vini e sakè, sia officiata per buongustai e non per compulsivi consumatori di stuzzichini e beveroni.
A proposito, oltre all’impronunciabile parola ap…..na, ce n’è un’altra che vorrei veder eliminata: mixologia. Il logos è apollineo, razionale mentre il cocktail è di Dioniso, dell’eros. Mixologia mi evoca preparazioni con dosaggi farmaceutici, sempre uguali, senza fantasia. Sono “un alcolista pregno di malsana letteratura” ma, dietro alle bevande che mi piacciono, ci deve essere un vissuto. Se non è così, non mi passa la sete. In un afoso pomeriggio parigino Hemingway, che il Giappone è forse l’unico posto dove non è stato, ideò quello che, da un suo famoso trattato sulla corrida, chiamò “Death in the afternoon”: agitare uno shot di assenzio con il ghiaccio, filtrare e riempire con champagne. Ancor meglio di Festa Mobile! Aveva sintetizzato in una magica pozione Parigi e la sua epopea. Alla faccia della mixologia!

KANPAI
Via Melzo 12
Milano
tel. 02 38269862
www.kanpaimilano.com

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