Il racconto di un'esperienza da vivere fino al 14 dicembre a Trento, per conoscere le uniche bollicine di montagna d’Europa

Antonio e Roberta avevano appena vent'anni quando hanno aperto la loro cantina sul colle dedicato a Marte, in quella che era la casa dei masnadieri del barone locale.
Camilla è una donna gentile e affascinante, dai lunghi capelli castani, che con gesti d'altri tempi è maestra nel dégorgement à la volée. Rappresenta la terza generazione di una famiglia che da un secolo produce il metodo classico e che per molti è la storia del vino, nel Trentino e in Italia.
Francesco, Moser, era un ciclista che ha fatto uno storico record dell'ora: 51, 121. Oggi quel numero è stampato su un'etichetta che i figli mostrano orgogliosi - e che nel 2011 ebbe il riconoscimento dei Top Hundred di Papillon tra i migliori vini d'Italia - a ribadire con le loro bollicine un record che il papà stabilì quando loro erano ancora in fasce, mentre lui - spiegano - preferisce lavorare in campagna piuttosto che in cantina.

Tre istantanee per raccontare una storia, un territorio, un vino dall'identità forte perché fatto delle montagne che circondano Trento. Già perché i Trentodoc che si assaggiano oggi sono figli di un vigneto connesso nella storia e nel DNA alla montagna. Lo ha dimostrato anche una recente ricerca presentata dalla Fondazione Mach in occasione della rassegna Trentodoc: bollicine sulla città: sono ben 970 i composti aromatici del Trentodoc che ricorrono a ogni bottiglia. Segno di una scelta varietale ma anche di un terreno, di una tipologia di allevamento delle viti (la pergola trentina) e di un’altitudine.
La base di questo metodo classico è lo chardonnay (e ancora oggi sono molti i Blanc de blancs) che copre l’80% del territorio. Uno chardonnay che darà risultati diversi in base all’altitudine a cui si trovano i vigneti. Con un marcatore comune: un’acidità spiccata e una mineralità che costituiscono il marchio di fabbrica del Trentodoc, reso ancor più prezioso - soprattutto negli ultimi anni - da una percentuale in aumento di pinot nero. Ma la vigna, che ultimamente sta subendo anche un processo di conversione al biologico, è solo uno degli aspetti caratterizzanti del Trentodoc. L’altro, forse ancor più decisivo, è fatto di storia, tecniche e cantine scavate nel cuore della montagna. Una storia che comincia a pochi passi dal Duomo nel 1902 quando Giulio Ferrari dopo gli studi nell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e i viaggi in Francia decide di sfidare i produttori d’Oltralpe con un grande metodo classico nato dal cuore delle Dolomiti. Sulla scorta del successo di Ferrari cresceranno altri coltivatori che diverranno a loro volta produttori, in uno spirito di squadra che ha condotto prima al riconoscimento della Doc e poi, nel 2007, alla fondazione del marchio Trentodoc che oggi conta 41 cantine aderenti.

Ma il Trentodoc è anche altro: un valore immateriale a metà tra due case. La prima, quella storica, che è celebrazione dei vini e dei prodotti trentini: palazzo Roccabruna. Questa splendida dimora nobiliare, nata all’epoca del Concilio di Trento, è la sede dell’enoteca che è anche ristorante con la formula innovativa di una cucina a rotazione dove sono ospitati gli chef che lavorano tra le montagne. L’altra “nuova” casa è il Muse, il museo della scienza di Trento, progettato da Renzo Piano, che racconta la montagna attraverso la terra, il clima, la flora e la fauna in una proposta museale interattiva. E che nell’ultima edizione della rassegna Bollicine sulla città ha ospitato le case spumantiere trentine. Sono due anime di una doc e di una città, che fino al 14 dicembre si potrà scoprire nella rassegna dedicata. In particolare, proprio da domani 4 dicembre, prenderà il via Trentodoc in cantina, con le cantine che si apriranno alle visite. Sarà l'occasione per incontrarli: Antonio, Roberta, Camilla, Francesco. E toccare con mano il segreto del Trentodoc: il tempo che dona freschezza ai vini, come vi racconteremo con alcune grandi riserve (e interessanti novità) per aprire nel miglior modo al 2015.
(Foto 1, 4 e 5 sono tratte dala Fototeca Trentino Sviluppo)

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