Anche alla prova del tempo, si conferma Barbera di grande stoffa quella prodotta da Franco Roero a Montegrosso d'Asti

Non capita tutti i giorni di poter mettere in fila 11 annate dello stesso vino. È un po' come ritrovare foto ingiallite riprese dal passato, e confrontarsi con adesso. Ma se per gli umani (spesso) il confronto è impietoso, il vino può riservare belle sorprese. È quello che è successo durante la verticale di Barbera d’Asti Carbunè – dal 2017 al 2007 – prodotta dalla Cantina Franco Roero di Montegrosso d’Asti.

Una cantina che ilGolosario conosce bene – nel 2008 premiato tra i Top Hundred, anzi top dei top di quell'anno – e che ad ogni autunno torna tra gli assaggi della tavola. Roero è un autentico barberista, di cui produce diverse versioni: dalla superiore Sichei, affinata per almeno 18 mesi in barriques, alla (straordinaria) Mappale 213, che riposa in botte grande. Ma il biglietto da visita di questa cantina è il suo Carbunè: una Barbera che fa solo acciaio e vetro di bottiglia, schietta, dal frutto generoso e quell'acidità che ci si aspetta, ancor più vibrante nelle ultime annate. E poi una ricchezza alcolica sostenuta e una struttura potente, che la rende perfetta non appena arrivano i primi freddi. Alla prova del tempo, nessuna smagliatura, anzi. Gli assaggi più datati sono stati tra i più entusiasmanti. A colpire poi, pur in una trama riconoscibile presente dal primo all’ultimo assaggio (leggi terroir e mano del vignaiolo), la varietà delle annate, raccontate da Franco Roero nell’incedere degli eventi climatici. 

Se il 2017, l'annata attualmente in commercio, è pura espressione di frutto e viole, dall'acidità tagliente, già il 2016 (grande annata) mitiga la sua freschezza senza perdere nerbo, in un sorso da “barbera ideale”: il frutto ancora vispo, una trama floreale, e poi quel finale ammandorlato e un po' terroso che è cifra di questo vino (e del terroir). Curioso il 2015, che vira più su note vegetali piacevoli ed eleganti. Addentrandosi nella verticale verso i millesimi più datati si rimpiange di non aver lasciato qualche bottiglia in cantina ad invecchiare.

Perché se il 2013 è ottimo, con sentori di viola e liquirizia, catrame e terroir, il 2011 è straordinario. Sarà che la bottiglia era una Jeroboam da 3 litri (quanto può incidere il grande formato nell'affinamento di un vino?), ma il vino sorprende fin dal colore, ancora rubino carico, senza il minimo cedimento sull'unghia. E poi per un'intensità olfattiva inusitata, che trova corrispondente in bocca, il frutto ancora integro, la mineralità spiccata, l'acidità perfetta. Un sorso compiuto, a cui non daresti mai i suoi anni. Ma anche le annate successive, in particolare la 2009, la 2008 e la 2007 scombussolano le papille, in un progressivo accentuarsi di note terziarie, speziature profonde, sensazioni amaricanti che virano fino al fernet. Eppure ancora così “barbera”, nel sorso e nei profumi. Lo sapevamo, ne abbiamo avuto conferma: la Barbera è un vino che invecchia bene.

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