Il Nizza "I Cipressi" 2015 di Michele Chiarlo è arrivata prima nella classifica mondiale dei vini stilata da Wine Enthusiast

La notizia che la Barbera o meglio il Nizza “I Cipressi” di Michele Chiarlo sia arrivata prima nella classifica mondiale dei vini stilata da Wine Enthusiast pone una serie di riflessioni che è giusto fare, dopo il mio assaggio meditato di ieri sera. Ora, il campione premiato lo scorso novembre era del millesimo 2015 ed ha scalato la classifica ponendosi finalmente all’altezza di quello che è un vino internazionale.

Io Michele Chiarlo lo conobbi nell’agosto del 1982, quando mi diede un passaggio, da autostoppista, dal casello di Tortona fino ad Abazia di Masio. In verità lui non doveva andare ad Abazia: mi avrebbe lasciato a Felizzano, per proseguire verso Asti, ma l’insistenza delle mie domande, la curiosità che mi aveva destato, fecero di quel momento un incontro, nel senso letterale del termine. Che poi io diventassi giornalista, occupandomi di vino, è un fatto che avvenne tre anni dopo. Però ricordo quel passaggio in auto dove Michelino (lo chiamavano così in famiglia) mi ha aveva fatto capire che la Barbera era un vino in cui crederci e che dietro alla sua affermazione c’era marketing, c’erano viaggi negli Stati Uniti, in Germania e in altre parti del mondo.

Ed io stentavo a crederci, perché il vino era la vendemmia da mia nonna, in quella vigna fra Masio e Rocchetta Tanaro: le uve le portava alla Cantina Sociale dei Mogliotti, felice della buona gradazione. E tutto finiva li. Eh sì, perché al mio paese tutti facevano così, tranne lo zio di Urbano Cairo che invece imbottigliava il vino all’Abbazia. Allora non sapevo che quell’anno benedetto per la Barbera (ricordo ancora un campione del 1982 di Dario Solive di San Martino Briccofiore a Cortiglione assaggiato al ristorante I Campi, che mi fece piangere) sarebbe stato il primo del Bricco dell’Uccellone, firmato da Giacomo Bologna. Lo scoprii dopo, nel 1986, quando lo assaggiai per la prima volta a casa di Antonella Bocchino, con Luigi Veronelli, assistendo a quel fenomeno di elevazione della Barbera che mai ci fu nella storia.

Michele Chiarlo, nel frattempo, aveva trasformatola sua azienda da Duca d’Asti, con sede in Valsusa, a Michele Chiarlo, mettendoci la faccia, come già avevano fatto Angelo Gaja e tanti altri. Con lui sono sempre stato in rapporto continuo, perché Michelino è un signore, un grande piemontese, un entusiasta. Ma recentemente ho avuto occasioni di confronto anche con suo figlio Stefano, che mi ha mostrato una lucidità pazzesca, una chiarezza ben precisa su cosa si intenda per Barbera.

Michelino ha sempre creduto nella Barbera, tanto da esserne un campione di versatilità. Un giorno mi invitò in cantina con altri giornalisti dove mise a confronto alcune sue bottiglie con nomi blasonati, fra cui un Petrus. E li, davanti alla scarso entusiasmo per l’apice dei vini di Bordeaux, scoprii che c’erano colleghi seri, che giudicavano il vino com’era e colleghi ideologici che bevevano l’etichetta. Questa premessa per dire che il riconoscimento di Wine Enthusiast non deve sorprendere: la Barbera assaggiata a occhi chiusi ha una complessità che altri vini magari non raggiungono, almeno non in tutte le annate.

Tornando a Michelino, fui il primo o forse uno dei primi a ricevere il suo Barolo. Che assaggiai con attenzione (dai cru Cannubi e Cerequio), ma alla fine scrissi, convinto, che lui era un professionista della Barbera, perché i vertici che raggiungeva con quel vino erano unici. Poche settimane fa ho partecipato a una degustazione di 19 Barbera ("il vino va nominato sempre al singolare - ammoniva Veronelli – perché è come una persona: non esistono nomi al plurale"). Ebbene, anche qui la Barbera che fra le tre mi hanno più colpito c’era proprio quella di Chiarlo: pulita, fresca, mai troppo barocca e carica.

Proprio come I Cipressi, un Nizza prodotto a Castelnuovo Calcea da vigne che danno una resa di appena 70 quintali di uva ad ettari. Il suo affinamento è in botte grande, che è la strada che considero più convincente. E ieri ho assaggiato il 2016, accanto al Barolo “Tortoniano” 2013 perchè Michelino mi ha scritto “Ci sento tanto Cerequio”. Ed aveva ragione. Senti la mineralità del nebbiolo di quel cru, la profondità del sottobosco, la seta elegante dei tannini levigati. Ma la Barbera...

La Barbera ha un colore viola-porpora molto intenso, che dopo i primi attimi dove senti il cuoio e un che di inchiostro, esplode con una viola di grande intensità. Lo metti in bocca è lo trovi pieno, con un cuore acido, fresco che accompagna una persistenza lunga. Il suo finale è amarognolo, o meglio ammandorlato, per quella che rimane una Barbera perfetta, che ha note di un frutto ligure: il chinotto fresco. La Barbera rotonda, fresca e grande, come deve essere. Stefano, il wine maker dell’azienda, ci crede. E questo dice che l’era del barocco sulla Barbera è al tramonto. Piace la donna nuda!

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