L’hanno chiama “Barbera revolution” la giornata di lavoro di sabato a Nizza Monferrato con i giornalisti provenienti da tutto il mondo

E anch’io come tanti colleghi mi sono approcciato con curiosità ad assaggiare i 19 campioni selezioni da Consorzio con un criterio di rappresentanza territoriale.
Quindi si può dire che non contano le etichette, ma l’insieme, che può dare il polso di dove vada la produzione di Barbera in questo momento, dopo 30 anni dove s’è vista l’affermazione di questo vino sui mercati di tutto il mondo. Questa fu una vera e propria rivoluzione, perché pochi credevano che il vino popolare del Piemonte, quello maggiormente prodotto, potesse diventare un rosso di grande interesse. Ma così è stato.
La Barbera ha una straordinaria versatilità, è un vino rosso di caratura internazionale proprio per la sua eleganza, sostenuta da una connaturale acidità.

Ora, se negli anni Ottanta (verso la fine), il concetto di “internazionalità” della Barbera fu giocato con l’adozione della piccola botte, a leggere i risultati di questa degustazione verrebbe da dire che non è sempre così. E come non ricordare quel convegno a Quattordio del febbraio del 1986 dal titolo “barrique sì, barrique no”, che oggi risulterebbe anacronistico, visto che la tecnica si è affinata e l’uso della piccola botte è diventato qualcosa di consapevole, contro l’improvvisazione dei primi anni. Già, ma è proprio questo il punto. Se oggi la barrique la si sa usare, perché sono risultati molto interessanti, in questa degustazione collettiva, i vini affinati in botte grande o addirittura nature?

Per capirci, merita assaggiare il campione fruttato dell’Azienda Ricossa, campione coerente con le note di amarena e di mandorla. Mi ha poi colpito, e non è la prima volta, la Barbera d’Asti Anni Domini 2016 di Terre Astesane, che invece mi ha dato, della Barbera, l’eleganza, accompagnata da un’acidità diffusa. Michele Chiarlo, storico produttore che ha scommesso fin dagli inizi sulla versatilità della Barbera, si è presentato con le Orme 2016, che mi ha ricordato le Barbera di Mario Pesce (Scarpa), che trent’anni fa, in controtendenza, puntava sulla Barbera che si domava con la pazienza degli anni e senza legni. L’acidità è diffusa, ma mentre l'assaggi senti le espressioni sapide di questi terreni. Chiarlo avrebbe potuto giocare la carta di altre Barbera, ma ha scelto questa per raccontarsi a un pubblico internazionale. Curioso no?
La Barbera d’Asti Camp du Rouss di Coppo è una gloria, che si sublima col Pomorosso. Ma in quell’insieme di assaggi si notavano le note di frutta sottospirito e una leggera tostatura. Che apre un capitolo vecchio e sempre attuale: la barrique snatura l’anima della Barbera? Grande la Barbera comme il faut della Cantina Sociale di Vinchio e Vaglio “Vigne Vecchie 50”: la Babera come t’aspetti. Il rispetto della natura della Barbera l’ho ritrovata anche nel campione di Paolo Berta: un fruttato pulito e un’acidità presente. E qui l’affinamento è per sei mesi in botte grande e sei in barrique. Solo in botte grande è invece il campione di Bersano, la Barbera d’Asti superiore “Cremosina”. Dove le note avvolgenti di frutta si accompagnano a un sorso fresco con una gradevole trama di tannini. Siamo alla Barbera che diventa grande. E grande è anche il contenitore della botte, che a questo punto convince.
È dunque la botte grande il contenitore ideale della Barbera? A sentire la piacevolezza di questa Barbera verrebbe da dire di sì! Oppure è la via di mezzo (botte grande e piccola) come raccontano i Marenco di Strevi con la convincente Barbera d’Asti superiore Ciresa 2016, che porta il rosso a livelli di finezza. La Barbera d’Asti superiore “Epico” 2016 di Pico Maccario aveva stoffa, ma in fondo sentivi una nota di vaniglia, che è il regalo della barrique, utilizzata per 12/14 mesi. E fino a qui sembrava che il discorso filasse via liscio. Poi arriva secca una smentita: la miglior Barbera della giornata è quella della Tenuta Bricco San Giorgio il “RossoMora” superiore 2016. Si nota una perfetta compenetrazione fra i tannini del legno della barrique e la natura della Barbera, tanto da ricordare quando Veronelli parlava di “elevazione” in carati.
Che risultato avrebbe ottenuto il giovane Davide Lajolo di Vinchio con la botte grande o addirittura con l’anfora? Non lo sappiamo, certo della barrique ne ha fatto un buon uso. Ed è l’ultimo arrivato, che a questo punto riporta la nostra discussione al via, con una nota non secondaria sul suo modo di lavorare, che forse ha a che fare con la “Revolution”: le macerazioni lunghe.
Ha forza e carattere la Barbera superiore la Rocchetta di Olim Bauda, affinata in botte grande per 18 mesi. E qui avverti il piacere delle note terrose e minerali, quei sentori “caldi” della Barbera della memoria. Ma Franco Roero di Montegrosso ci spiazza di nuovo: 18 mesi di affinamento in barrique per la sua Barbera d’Asti superiore “Sichei” 2016. E qui senti la frutta rossa, la mandorla e la piacevole trama dell’acidità. Affinata in barrique è anche la Barbera superiore de Il Falchetto, il “Bricco Paradiso”, e mi è piaciuta parecchio, soprattutto per l’equilibrio finale che ha ottenuto. Stesso dicasi per la Barbera d’Asti superiore “Passum” della Cascina Castlet.

Che dire? Dico questo. Alla fine chi ha parlato ed ha preso la scena non è stata una tecnica di produzione piuttosto che un’altra, ma proprio i cru della Barbera, le colline stesse dei vari paesi, i cui frutti vendemmiati possono solo essere “accompagnati”. La Barbera d’Asti superiore è una materia dirompente, che ha un suo perché comunque la si lavori. La Barbera d’Asti che si presentava senza affinamenti in legno convinceva. Mancava la ventesima Barbera, che in verità ho assaggiato da solo il 20 novembre al ristorante Bardon. La produce un giovane di Mombaruzzo ed è biologica e affinata in anfora. Mi ha sconvolto per la piacevolezza fruttata, la forza, la purezza. È questa la rivoluzione della Barbera? No. Non è mai l’assolutizzazione di una tecnica, perché la materia è terroir, che significa clima, ambiente, uomo che interagisce e legge materia e tempo e lo fa sempre in maniera nuova. Bravi allora quelli del Consorzio che hanno messo insieme blasoni e ultimi arrivati, perché la rivoluzione sta proprio nel confronto che diventa consapevolezza. E può farlo solo quando chi sa di avere grandi terreni e grandi uve, esattamente quelle delle migliori esposizioni, che vengono regalate, nel Monferrato, alla barbera.

La tecnica? Lasciamo fare ai cuochi il loro mestiere in cucina e ai vinnaioli quello in vigna e in cantina. È come se qualcuno volesse tirare le conclusioni di questa degustazione (e la tentazione c’era) dicendo che una donna bella e formosa sta bene col vestito rosso e non con quello blu. Anche se qualcuno, in cuor suo sa, che la donna nuda è spettacolare. È la Barbera bellezza!

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