La ricerca del giusto residuo zuccherino, tra storia ed esigenze di equilibrio

Secco ma armonico. Così si potrebbe sintetizzare il profilo del nuovo Asti secco. Prima della modifica al disciplinare, sono stati prodotti in via sperimentale spumanti con diversi tenori zuccherini: < 2 g/l, da 12 a 20 g/l,  21g/l a 30 g/l e da 31 a 50 g/l.
Alla degustazione le migliori caratteristiche di equilibrio e piacevolezza, considerando anche gli aspetti legati alle possibili destinazioni di consumo, sono risultate essere quelle delle tipologie zuccherine da 12 a 20 g/l, residuo poi ammesso nel disciplinare. Una scelta che racconta in realtà una storia e un’esigenza.

La storia è quella di un vino che storicamente si è sempre abbinato al salato anche se in versione dolce, dal pesce (in particolare i crostacei) al tartufo ai piatti speziati (ma c’è anche chi lo ama con il salame); un vino, quindi, che il palato, nonostante il residuo zuccherino elevato, riconosceva già in abbinamento al salato. A fare da trait d’union tra passato e futuro più che il mero calcolo dei grammi di zucchero, è il complesso dei profumi che si mantiene inalterato e caratteristico nelle due tipologie. Non solo: a facilitare il passaggio tra le due tipologie è anche la ricerca della giusta acidità, individuata nei campioni compresi da 5,01 a 6,5 g/l (espressi in acido tartarico).
Queste caratteristiche si traducono, nel bicchiere, in un vino con spuma di buona finezza e mediamente persistente (pari a quella dell’Asti Dolce), al naso sono netti i profumi varietali mentre in bocca l’equilibrio e la giusta acidità ne hanno fatto un vino pronto da bere già in queste feste.

La sfida nel prossimo futuro sarà capire come si comporta l’Asti in una spumantizzazione secondo le caratteristiche del metodo classico, che, applicata (seppur raramente) alla versione dolce, ha già dato ottimi risultati.

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