L’ortofrutta italiana vale un quarto dell’intera agricoltura ma continua a soffrire sui mercati esteri. Secondo il primo rapporto Nomisma - Unaproa presentato oggi a Roma l’Italia appare come una vera e propria miniera d'oro: 491mila aziende ortofrutticole, oltre 1 milione di ettari coltivati e 12,8 miliardi di valore di produzione, che qualificano il nostro Paese tra i leader europei. L’Italia si colloca al primo posto per quanto riguarda sia il valore della produzione orticola (20% del totale UE) sia per quella frutticola (20%); nel primo caso grazie anche al primato comunitario in termini di superfici (18% del totale orticole UE), mentre per la frutta figuriamo al secondo posto (17%) dietro la Spagna. Tuttavia questo sembra non bastare: la congiuntura negativa tra calo dei consumi interni (- 15% tra il 2007 e il 2013) e una quotazione in calo del valore dell’export sul mercato mondiale (attualmente al 3,8% ) hanno messo a dura prova tutto il settore, particolarmente danneggiato dall’embargo russo. Organizzazione è la parola chiave secondo Denis Pantini, Direttore Area Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma. “Migliorare il livello di organizzazione del settore può determinare benefici su diversi fronti. Vi è un’urgenza particolare nel contesto attuale, in cui il posizionamento dell’Italia sui mercati internazionali è compromesso da altri Paesi più organizzati di noi e che presentano minori criticità sul versante del sistema Paese”. Ma serve anche una armonizzazione della materia a livello europeo, come lamenta il presidente di Unaproa Ambrogio De Ponti: “Attualmente, nonostante il mercato dei prodotti ortofrutticoli per l’Unione europea sia unico, sia a livello comunitario che a livello nazionale vi è una forte differenziazione delle prescrizioni contenute nei disciplinari e la mancata uniformità di normative e procedure conduce a trattamenti differenti tra operatori di Paesi e regioni diverse, incidendo notevolmente sui costi di produzione. Com’è evidente, questo ha un impatto drammatico sulla competitività di impresa, a tutto discapito dei produttori italiani”

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