Un talebano della pizza napoletana e insieme un curioso ricercatore di pizza contemporanea che all'enosteria Lipèn fa incontrare diversi stili dentro il forno a legna.

Di Corrado Scaglione (classe 1966), chef e pizzaiolo dell'Enosteria Lipèn di Triuggio (fraz. Canonica – via Taverna, 114 - tel. 0362919710) abbiamo scritto nel nostro GattiMassobrio 2019 che è “maestro di pizza napoletana” infatti, pur essendo nato professionalmente come chef, nel 2001 decide di imparare anche il mestiere del pizzaiolo e ci riesce così bene che nel 2011 diventa campione del mondo della pizza STG (Specialità Tradizionale Garantita).
E' stato coordinatore fiduciario dell'Associazione Verace Pizza Napoletana e, quando lo abbiamo raggiunto, era reduce da una docenza all'Università della pizza napoletana del Molino Quaglia
Nel presentarsi esordisce infatti con un “sono un talebano della pizza napoletana” una posizione che ci è sembrata inizialmente chiusa a tutte le altre tendenze della pizza, ma che invece si apre subito al dialogo.

Quindi la vera “pizza”, secondo te, è solo quella fatta secondo il disciplinare della pizza napoletana? Non c'è spazio per le altre preparazioni?
Non è esattamente così. La pizza napoletana oggi vive un momento gioioso: è giusto che un prodotto della tradizione con una storia così importante abbia un disciplinare che dia delle regole a ingredienti e impasti. È giusto che un cliente sappia che cosa mangia quando chiede una pizza Napoletana. D'altra parte il mondo va avanti, ci sono nuovi ingredienti eccellenti, come le farine macinate a pietra con maggiori contenuti di crusca, e nuove tecniche come le idratazioni spinte, quindi sono nati impasti alternativi e nuovi modi di fare la pizza. Anche questo è un fenomeno positivo perché quello della pizza è un mondo aperto e vivo, che suscita interesse e curiosità.

Già, ma tra le “critiche” che ogni tanto vengono fatte al mondo della pizza napoletana, c'è quella di essere un mondo statico, uniforme, che non comunica, perché non c'è più niente di nuovo da dire al cliente…
Si parla di uniformità perché si conosce poco la storia della pizza napoletana (che in effetti non viene molto comunicata), ma è un prodotto che ha vissuto e vive le sue diatribe. A Napoli è ancora percepibile, per esempio, la differenza tra la pizza del Vomero, che era destinata ai ceti agiati della città quindi di più piccole dimensioni e molto ben condita, e la pizza preparata alla maniera dei Quartieri Spagnoli, dove risiedeva la parte povera della città e il disco di pasta veniva tirato il più grande possibile con i condimenti sparsi, perché doveva dare da mangiare a tutta una famiglia. È stata codificata la lavorazione e cottura dell'impasto, ma sui topping e condimenti, al di là delle Margherita e marinara, c'è molta libertà e fantasia per chi prepara la pizza napoletana, oggi come un tempo. Io non lo definirei un mondo statico quindi. Certamente la comunicazione verso il cliente è comunque un punto fondamentale per farla apprezzare. A me per esempio piace molto raccontare ai clienti più motivati come nasce la pizza. Faccio periodicamente dei corsi in cui preparo degli impasti insieme a loro e insegno i trucchi per farsi una buona pizza anche casa. Di solito i clienti che hanno vissuto questa esperienza ne parlano ai loro amici e sono ancora più motivati a tornare da me, sia per mangiare la pizza napoletana che la contemporanea, perché sono più consapevoli di quello che mangiano e anche delle differenze.

Tu quindi, pur essendoti definito un talebano della pizza napoletana, proponi anche la contemporanea.
Io propongo tre tipi di impasti la napoletana, fatta secondo disciplinare con farina 0, la pala romana e la pizza in stile napoletano preparata con farine Petra ricche di crusca come la 9, la 5 o la 3.

In cosa consiste questa pizza in stile napoletano?
Come ti dicevo è preparata con farine integrali, a volte tagliate con farine più raffinate, quindi non è una pizza napoletana, ma ne riprende lo stile. L'impasto è preparato con impasto diretto, lievitato con lievito madre e cotto in forno a legna e, grazie alla idratazione spinta e all'ottima lievitazione, alla fine restituisce un bordo spesso con ampie alveolature proprio come una pizza napoletana.

Come variano i gusti e i topping a seconda degli impasti?
Il gusto è diverso ovviamente. Le farine integrali Petra danno all'impasto un profumo e un sapore ricchi di grano, che secondo me non deve essere coperto con topping dall'aroma troppo intenso e quindi preferisco usare ingredienti più grassi e delicati come i formaggi. Sulla pizza napoletana invece mi piace far esplodere tutta la personalità del pomodoro italiano, come nella mia Margherita 3 D dove abbino tre varietà di pomodori diversi (il pomodorino del Piennolo del Vesuvio, il San Marzano e il pomodoro giallo) con tre formaggi diversi come la mozzarella di bufala Campana, il fior di latte e la provola affumicata. Anche sulla pala romana mi piace sperimentare. Tra i miei gusti più riusciti ci sono la versione veggy, con verdure stufate e olio aromatizzato al basilico, e la pala romana nera con nero di seppia, salmone marinato con aneto e asparagi marinati.

Alla domanda se esiste un punto d'incontro tra la pizza classica napoletana e la contemporanea, il nostro maestro pizzaiolo risponde scherzando. Sono due preparazioni diverse, che nella mia pizzeria si incontrano dentro il forno a legna. Il forno a legna per me è il vero strumento irrinunciabile del bravo pizzaiolo che con la sua esperienza deve saper dare la giusta cottura a impasti diversi senza poter impostare precisamente la temperatura, come un violinista che suona pezzi diversi sul suo strumento e non ha bisogno di capotasti.   

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