Con la legge 141 si norma l'agricoltura sociale. Una rivoluzione già in atto.

L'agricoltura si fa modello di welfare, nel progetto di far diventare risorsa chi prima era considerato semplicemente un costo per la collettività. A spiegarlo, nel convegno di venerdì 26 febbraio al carcere di Asti, è stato il presidente delle Fattorie sociali Marco Berardo Di Stefano, uno dei promotori della legge 141 entrata in vigore nel settembre 2015. “E' una legge che norma l'esistente, un fermento che è già in atto da almeno un decennio” racconta Di Stefano e a loro volta lo raccontano tante esperienze sul territorio nazionale, dalle colonie penali di Gorgona e Is Arenas all'esempio della Bio fattoria sociale Conca d'Oro di Bassano del Grappa (Vi) fino ai tanti progetti della cooperativa L'asinergia di Asti (che sta lavorando nel carcere locale con l'assunzione di due soci lavoratori per curare frutteto e serre). La legge sull'agricoltura sociale si rivolge direttamente alle imprese agricole per permettergli di svolgere attività dirette all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate ovvero persone con disabilità, carcerati, ma anche minori con problemi in famiglia, disoccupati di lungo corso. “L'agricoltura – spiega Di Stefano – torna ad avere quella funzione di comunità che gli è propria”. Infatti la legge permette alle aziende agricole anche di svolgere attività per la comunità di cui fanno parte (dalla raccolta dei rifiuti come accade ad esempio nel parco delle Madonie fino alla manutenzione e pulizia dei fossi come ad Asti) poi prestazioni e servizi terapeutici attraverso l'ausilio di animali e la coltivazione delle piante, l'educazione ambientale e la salvaguardia della biodiversità. La platea di iniziative è sconfinata. Però sempre legata alla produzione effettiva: il fatturato delle fattorie sociali deve provenire in maniera prevalente dall'attività agricola. Quindi tutti i progetti devono dimostrare di potersi reggere da soli, avere una redditività. Per questo non si può più parlare di un costo ma di una risorsa. I produttori di agricoltura sociale possono riunirsi anche in Organizzazione di produttori, partecipare al Piano di Sviluppo Rurale. Resta però il nodo della distribuzione, la mancanza di strumenti – al momento attuale – che facilitino, ad esempio, il consumo di questi prodotti nelle strutture pubbliche. “Stiamo pensando a un marchio per l'agricoltura sociale” spiega Di Stefano, capace di incrementare e soprattutto certificare il valore aggiunto che hanno i prodotti ottenuti in questo modo. Ad Asti, all'interno del carcere di massima sicurezza, sta crescendo il frutteto completamente ripiantato, mentre la verdura viene distribuita in più punti in città. “Avete presente – spiega Di Stefano - cosa significa, per chi è cresciuto tutta la vita in un ambiente di violenze, sentirsi dire dal proprio compagno di cella: “Buoni i pomodori che hai coltivato?”. E' la finalità rieducativa della pena, è il lavoro che fa sì, ad esempio, che chi viene formato nella colonia penale di Is Arenas venga cercato dalle aziende come operaio specializzato nel settore. Ma non solo: è il principio di restituzione. Ovvero la possibilità di restituire alla comunità qualcosa che si è tolto con i propri errori. Che nell'agricoltura sembra trovare il terreno più fertile.

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