Dove tutto gira intorno all’ulivo: viaggio a Kagawa

Cari amici Italiani, lo sapevate che anche in Giappone si coltiva l’ulivo?
La storia dell’olio d’oliva in Giappone è nata proprio qui sull’isola di Shodoshima, prefettura di Kagawa, dove il clima è mite grazie alla posizione in mezzo ad un mare interno protetto tutt’attorno dalle isole principali del Giappone.
E proprio qui sono nate attività agricole diverse tutte legate alla produzione dell’olio d’oliva.
Siamo partiti per l’Isola di Shodoshima, prefettura di Kagawa, allo scopo di conoscere una “nuova forma d’agricoltura” e i manzi delle olive, allevati con i residui delle olive dopo la spremitura con la guida di Kenji Yamamoto, detto “Yamaken san”, consulente per la distribuzione dei prodotti agricoli.


Sull’isola degli ulivi con 100 anni di storia

Vorrei chiedervi cosa vi viene in mente al nome dell’isola di Shodoshima.
Anticamente era nota per la produzione di salsa di soia, “somen” (pasta di farina bianca tirata finissima) o “tsukudani” (pesciolini caramellati dal gusto agrodolce ) ma ora molti penserebbero subito all’olio d’oliva.

Niente di strano, perché in quest’isola sul Mare Interno di Seto si coltivano gli ulivi ormai da 100 anni.
Nel 1908 furono portati degli ulivi in Giappone e piantati in 3 prefetture diverse, ma l’unico posto dove attecchirono perfettamente fu quest’isola. Al giorno d’oggi il 99% dell’olio giapponese proviene dalla prefettura di Kagawa.

Abbiamo sentito dire che, proprio sull’isola degli ulivi, si allevano manzi di razza giapponese con i residui delle olive dopo la spremitura dell’olio e che per questo vengono chiamati “manzi delle olive”.
Ci dice Yamaken san, diventato tra l’altro lui stesso proprietario a distanza di una manza autoctona giapponese: “Che la carne bovina sia buona o meno, tutto dipende dalla razza e da ciò che le si dà da mangiare.”
Allora è giusto cominciare la nostra visita partendo da un uliveto nel pieno del periodo di raccolta. “Per produrre l’olio usiamo la varietà che si chiama Lucca*1. Sia dal punto di vista dell’amarezza che della piccantezza ha un gusto morbido e la sua caratteristica è il sentore fresco da mela non completamente matura.” Dice il Sig. Hideharu Doi di “Toyo Olive”, l’azienda che possiede l’uliveto più antico del Giappone.

Il sig. Doi continua: “La prefettura di Kagawa è un’area con poca pioggia ma, rispetto alle altre aree da produzione d’olio d’oliva, abbiamo più precipitazioni. Infatti l’olio contenuto nel frutto è solo due terzi rispetto a quello estero. Quindi dobbiamo aspettare il momento più vicino alla maturazione completa. Rispetto a quello con frutto verde raccolto prematuro, come la maggior parte della produzione all’estero, avrà un sapore meno intenso ma, proprio per questo, perfetto per la cucina giapponese.”
Detto questo ci ha fatto assaggiare il suo olio.

“Nh! Ha un sentore fruttato. Dopo una punta piccante sprigiona in bocca il profumo dell’oliva. È come un succo di frutta!” dice Yamaken san.
Immaginando quanto potesse essere buono anche il frutto ho messo un acino in bocca e, per l’amaro e per il cattivo gusto, mi sono trasformata per un attimo in un baccalà.

Siete sicuri di dare ai vostri manzi il residuo delle olive!?

Neanche i manzi lo mangerebbero così com’è.
Il residuo, che senza lavorazione farebbe scappare anche le bestie, viene essiccato nell’essiccatore che si trova all’interno del frantoio per ben 7 ore e mezza, fino a che l’umidità contenuta arrivi al 10%; allora acquisisce un profumo da caramella e un gusto lievemente dolce. Questo diamo ai manzi e poi il letame ritornerà all’uliveto.

“Sapete bene che i cachi amari diventano dolcissimi quando vengono seccati. Questa pratica mi ha dato un’illuminazione.” Dice il sig. Masaki Ishii, Presidente del Gruppo delle Aziende Zootecnice di Shodoshima e padre de “i manzi delle olive”.


Sempre grazie al clima mite del Mare Interno di Seto, nell’Isola di Shodoshima è stata sempre attiva la zootecnica, ma ormai le aziende si erano ridotte solamente a 6 quando, nel periodo più attivo ce n’erano state 200.
“Avevo pensato per tanto tempo a cosa avremmo dovuto fare per dare ai nostri manzi una particolarità unica. Un giorno, durante un concorso, ho scoperto che nella carne il valore dell’acido oleico è un importante parametro per valutarne la qualità. Mi sono detto che di acido oleico ne abbiamo quanto ne vogliamo con le olive!”

Così si recò a un frantoio a chiedere il residuo e nel 2006 iniziò da solo la sperimentazione per la trasformazione in mangime.
Lo distendeva lungo la spiaggia e lo rivoltava 2 volte al giorno, tutti i giorni, con molta pazienza. Dopo 3 anni di prove, riuscì a inventare il mangime di olive.

Un sapore unico che può nascere solo da questa terra

Ai manzi delle olive si danno 100 g al giorno di mangime d’olive per più di 2 mesi, fino alla vendita. Il mangime contiene una sostanza oleica del 25% e questo vuol dire che un manzo prende in totale 1 litro e mezzo di olio. Anche il pelo diventa lucidissimo.

Alla mangiatoia dei manzi già belli cicciotelli, quando manca poco alla vendita, il sig. Ishii aggiunge il mangime di olive. Cominciano a muggire di contentezza e alcuni cercano di leccare solo il mangime di olive, scegliendolo con la lingua. Yamaken san si stupisce e ci dice “è incredibile che i manzi nella fase d’ingrassamento mangino dimostrando così tanto appetito!”

“Sarà merito di qualche sostanza oleosa. Alla prima vendita non avevo dichiarato il nuovo mangime ma poi ho ricevuto complimenti sulla qualità mai avuti prima. Quanto sollievo ho provato in quel momento!”
Dopo il successo della prima vendita dei manzi del sig. Ishii, si è deciso di meccanizzare la produzione del mangime e oggi gli allevatori dei manzi delle olive sono aumentati a 78. Così la storia della razza “manzo di Samuki” ha trovato un nuovo rilancio e si è assicurata un futuro.
“Io credo che una delle vie di sopravvivenza per la razza nera giapponese “kuroge-wagyu” sia “produrre carne dal grasso leggero”. I manzi delle olive sono ingrassati ma non troppo. In più vengono allevati con un mangime che si può trovare solo a Kagawa. È una soluzione ideale per produrre un sapore unico del territorio, realizzando anche una forma di agricoltura circolare.” dice Yamaken san.
Produrre bene utilizzando quel che si trova nel territorio. Così l’ulivo è diventato il simbolo di Kagawa.

Sull’agricoltura circolare a Kagawa basata sull’ulivo



Il periodo di raccolta delle olive è fra ottobre e dicembre. Raccolgono a mano quelle mature una per una e vengono portate immediatamente al frantoio.



Si trasformano le olive in pesto e, impastandole, si separa l’olio mantenendo il profumo. L’olio appena spremuto ha un gusto fruttato simile a quello della mela o della pera.



Durante la spremitura a centrifuga rimane un residuo di quantità enorme. Da crudo il gusto è aspro e molto forte ma, con l’essiccatura ad alta temperatura, lo zucchero contenuto nel frutto provoca la reazione Maillard che crea una dolcezza da caramello.

 

La carne di manzo delle olive alla brace. I cuochi dicono che anche il profumo, durante la cottura, sia diverso dall’altra carne.

Non si spreca niente. Nell’agricoltura circolare anche le foglie hanno trovato il loro utilizzo



Le foglie, potate nel mese di febbraio, vengono essiccate e polverizzate. Il risultato viene aggiunto, in misura mai inferiore al 2 %, al mangime per l’allevamento delle ricciole e questo viene dato per più di 20 giorni. Queste ricciole d’allevamento vengono chiamate “ricciole delle olive”.



Per l’effetto anti-ossidante dovuto ai polifenoli delle foglie d’ulivo, la parte più sanguigna del pesce, chiamata “ci’ai” in giapponese, rimane più chiara e non emana cattivo odore, anzi ha una particolare grassezza morbida.

Con l’olio d’oliva di Kagawa si crea un sapore unico!



(a sinistra)”Nakatake Shoten”, pastificio dell’isola Shodoshima, per produrre il suo somen, lo impasta con il residuo di spremitura delle olive e utilizza anche l’olio d’oliva nella fase di produzione.
(a destra)Un albergo isolano, “Mari”, fa il riso cotto con olive novelle in salamoia. È una specialità di questo albergo. Va versato un goccino d’olio prima di mangiarlo. 

 

Kenji Yamamoto (detto Yamaken)
Consulente per la distribuzione dei prodotti agricoli. Giornalista specializzato in politiche e tradizioni agricole. Gira tutto il Giappone per ricerche, consulenza e per la progettazione di nuovi prodotti.

[ N.d.T] *1 varietà di ulivo: Lucca È una cultivar da olio di cui non si conosce il paese d’origine. In Giappone fu introdotta dall’America nel 1933 e il ministero della politica agricola americana l’aveva introdotta dall’Australia ma più in là non s’è potuto verificare.

Testo di Reiko Kakimoto / fotografie di Daisuke Nakajima

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