È necessario venire in questa isola, dove i fratelli Bisol hanno creato un paradiso in terra

Non so davvero se ho vissuto un sogno. Però so che mi sono schiaffeggiato perché solo facendo l’esperienza di venire qui, sull’Isola di Mazzorbo di Venezia, puoi capire. Ci arrivi in barca oppure con il vaporetto che ti porta a Burano. Da quell’isola c’è un ponte che collega a Mazzorbo. Lo percorri e un cancello aperto al pubblico ti immette in un vigneto di uve dorona, circondato dai carciofi tipici dell’isola, le castraure. Ci sono l’erba intorno, le sculture suggestive e sullo sfondo due costruzioni: una ha un dehors davanti a una parete vetrata ed è il ristorante Venissa (Fondamenta di Santa Caterina, 3 - tel. 041 5272281 - www.venissa.it), dove cucina un genio come il giovane Francesco Brutto, l’altra costruzione è l’Osteria Contemporanea, col portico interno apparecchiato, mentre dalla parte opposta, sul molo, ci sono i tavolini dove gli astanti prendono l’apertivo, magari appena scesi dalla barca.

Questa realtà, con sei camere più altre tredici di albergo diffuso a Burano è l’idea di Gianluca Bisol e della sua famiglia. Ci ha puntato tutto. Ed è un atto di amore, innanzitutto, un segno contemporaneo di bellezza, di gusto, di coraggio. È uno dei posti più belli del mondo, ti vien da dire mentre guardi di fronte a te Torcello, con la chiesa del 600. Qui si respira l’aria della Venezia antica e subito Gianluca ti racconta le vicende storiche che hanno trasformato quella che era una palude in un luogo abitato. Venezia è laggiù, ma questa è la pace di Venezia, l’essenza della sua magia, come quel vino da uve stramature di dorona, che era l’uva dei dogi, con l’etichetta in oro zecchino, che bevi chiedendoti quanti anni vivrà quel vino speziato che ricorda l’oro: dello zafferano e della dorona che qui, ora, sta prendendo colore.

Sono convinto che sto facendo un regalo ai miei lettori, quelli che si fidano di me, che seguono i miei consigli e quelli di Marco Gatti. Il regalo di un’emozione che lascia ricordi indelebili, perché appena vieni via da Venissa ti prende una nostalgia strana. Il "mal di Venissa" ti prende, come il mal d’Africa o il mal di Toscana. Gianluca Bisol è un signore: nel portamento e nelle scelte. E sta con te e con gli amici, con la moglie, simpaticissima e coi figli, senza parlare più di tanto. E io ho capito perché: parla il luogo. Anzi, qui parlano i silenzi. Perché quel vino, Venissa, lo devi assaggiare in silenzio e Veronelli, che incoraggià Gianluca e il fratello Desiderio enologo, lo avrebbe annoverato tra i “vini da meditazione”.

A pranzo abbiamo assaggiato dei cichetti di straordinaria creatività. E poi la canocchia girasole e nasturzio, il sontuoso primo piatto, ossia i capelli d’angelo (Benedetto Cavalieri) con karkadè, rabarbaro campi e fragole fermentate (un tocco geniale). La mia amica Motoko sarebbe diventata matta per quel nervetto cotto nel dashi, volpina cruda e levistico, mentre tutti siamo rimasti colpiti dal cuore di bue con frutti rossi, rosa canina, rosa e susine, che aveva una freschezza inusitata.

Ho chiesto di farmi servire il Prosecco superiore “Crede”, che ha una pregnanza unica, mentre la linea dei Prosecco estremi, clamorosi, oggetto di una mitica degustazione a Golosaria Padova li racconterò presto, perché mi hanno fatto il racconto di un altro Prosecco. Ossia di una storia che non sempre viene rispettata, per una politica del tutto subito.

Il dolce era il cioccolato puro, ma intanto io sbirciavo sotto il portico di fronte, vedendo la soddisfazione di chi ordinava le moeche fritte, le sarde in saor, i bigoli in salsa di acciughe, la faraona, le melanzane all parmigiana e il pescato del giorno. E qui la chiusura è con il bussolà agli agrumi e crema chantilly. Che bella la vita vista da Venissa!

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