Il bollettino delle vittime lo conosciamo ormai tutti e si aggiorna di ora in ora. Il terremoto di Amatrice ha sorpreso un’Italia ancora in vacanza. E non è la prima volta.

A pensarci bene tutta la nostra vita è segnata da questo evento misterioso, che psicologicamente ci rende tutti precari. Quando ero adolescente vidi mio padre che indicava il lampadario nell’appartamento al primo piano del quartiere Feltre. Eravamo a Milano ed era arrivato fin lì l’eco del terremoto in Friuli. All’oratorio i ragazzi più grandi di me partirono subito. E ricordo quando tornarono con i canti di quella terra. Poi, al primo anno di università, fu la volta del terremoto in Irpinia. E Giorgio, che ha passato le vacanze con me fino a pochi giorni fa, era partito con altri degli anni più alti, rinunciando agli esami.

Poi un agosto di alcuni anni fa, il terremoto è arrivato a colpire anche i miei paesi, il mio paese. L’epicentro fu a Sant’Agata Fossili, nelle terre di Coppi. Durante un Vinitaly, pochi anni dopo, mi chiamò Antonio: “Tutto bene? Ho saputo di scosse di terremoto ad Alessandria”. Ma ad Alessandria nel 1994 dovemmo affrontare l’alluvione del Tanaro, un’altra tragedia dove persero la vita decine di persone. Poi il terremoto ad Assisi, quello dell’Aquila, quello fra Modena e Mantova. E ora Amatrice, alla vigilia della 50^ sagra degli spaghetti all’Amatriciana. A 55 anni l’elenco è davvero corposo e uno si chiede come abbiamo fatto a dimenticare. Chissà quali terremoti avrà registrato mio padre, nella sua vita, lui della classe 1919.

Gli amici della Magnifica Confraternita dei ristoranti De.Co. di Vicenza hanno subito messo in pista un’iniziativa devolvendo 2 euro per ogni piatto di spaghetti all’Amatriciana; altre ne seguiranno. In questi casi ho imparato a seguire chi si muove con ordine, perché è facile cedere all’istinto, senza razionalità. Il momento più difficile è il dopo, quando poi si dimentica. Spenti i riflettori molti rimangono soli, coi loro problemi. E non se li fila più nessuno. Lo dico pensando alla Fefa e al Rigoletto, due ristoranti colpiti dal terremoto in Emilia, che abbiamo aiutato con gli amici di Papillon, quando c’era più bisogno, ossia quando dopo un anno era il momento di decidere di andare avanti. Faremo lo stesso anche con questo evento, ma il rischio è sempre quello di mettersi la coscienza a posto, il più presto possibile e senza troppo disturbo. Invece questo mistero che arriva a colpire i paesi del nostro bel Paese è l’inizio di una strada di compagnia umana, ma anche una di una riflessione personale: per cosa vale la pena vivere? Altro non so dire, se non il silenzio davanti a qualcosa che ha strappato agli affetti donne, uomini e bambini. E poi un’attenzione al proprio mestiere, per indicare la strada della solidarietà vera, di fronte a chi ne vorrà approfittare, anche mediaticamente. Lo abbiamo scritto ieri citando il cameriere di don Giussani: “La pazienza si esercita sul singolo... il singolo si serve”. Presto sapremo chi è il prossimo di cui prenderci cura. Non si salva il mondo con gesti eclatanti, ma facendo ognuno il proprio piccolo pezzo. Possibilmente senza dimenticare.

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