Le Metamorfosi di uno chef in divenire, autodidatta e curioso, che sfugge tutte le definizioni e cerca con tenacia le emozioni nel piatto.

Il nome del suo ristorante, aperto nel 2011 ai Parioli di Roma (via Giovanni Antonelli, 30/32), è già un programma: Metamorfosi e di lui abbiamo scritto “Per noi che lo conoscemmo alla Locanda Solarola alle porte di Bologna, già grande, il cambiamento che abbiamo registrato nella sua cucina è stato totale.”

Stiamo parlando di Roy Caceres, classe 1977 nativo di Bogotà (Colombia), uno chef che sicuramente di metamorfosi ne ha vissute diverse anche nella propria vita personale, ma ha imparato a guidare con tenacia i cambiamenti e non ama farsi definire dagli altri, anzi previene le definizioni … per me fusion fa rima con confusion... ...non mi piace che si paragoni la mia cucina alla cucina molecolare, perché è normale che si lavori tecnicamente sugli ingredienti e la loro chimica, ma non è questa l'essenza della mia cucina... ...amo valorizzare gli eccellenti ingredienti italiani, ma la mia cucina non è a Km0, perché io non sono a Km0, arrivo dall'altra parte del mondo...

Abbandoniamo i tentativi di definirlo e gli chiediamo di raccontarci com'è nata la sua passione per la cucina.
La mia passione per il cibo è nata fin dall'infanzia in Colombia. Ero un bambino dinamico che si muoveva molto e amava anche tanto mangiare. Ero curioso di assaggiare tutto e mi piaceva aiutare mio nonno Salomon che era siriano e nei giorni di festa si metteva in cucina a preparare i piatti del suo paese. Ricordo ancora la prima volta che mi ha fatto assaggiare la carne cruda mentre preparava il kibbeh che sono delle polpette di carne trita e burghul in cui metteva anche menta e cipollotto. Ricordo ancora l'emozione che mi ha dato quel sapore che mi sembrava così diverso dai piatti colombiani cui ero abituato...

E qui è già nato lo chef...
È nata la passione per il cibo non lo chef in realtà, perché per tutti gli anni della mia giovinezza la mia passione è stato lo sport. Io volevo fare il giocatore di basket professionista e quando le vicissitudini famigliari mi hanno portato in Italia, dove ho seguito mia madre nel 1993, sognavo ancora di fare il giocatore di basket e mi allenavo moltissimo. Ma non ero cittadino italiano e non mi facevano giocare molto; alla fine era frustrante e poi avevo bisogno di lavorare per guadagnare qualcosa; così ho accettato di fare il lavapiatti a Misurina. Qui incontrai il cuoco Rinaldo Zolli, che volle darmi l'opportunità di imparare un mestiere e mi propose di dargli una mano in cucina.

Da lavapiatti a chef "coronato" (il miglior ristorante di Roma per il GattiMassobrio) chi l'ha aiutata in questo percorso prodigioso?
Le ho citato Rinaldo Zolli, che mi ha permesso di iniziare, poi ho fatto un'esperienza molto bella alla Locanda Solarola di Castel Guelfo con Antonella Scardovi. Ma di fatto sono uno chef autodidatta che non ha mai lavorato con i grandi maestri della cucina, e non avevo nemmeno una mamma o una nonna italiana che mi facesse conoscere la vostra tradizione. Quello che ho imparato sulla cucina italiana è frutto della mia volontà di documentarmi; ho studiato la storia della vostra gastronomia partendo dal Rinascimento, ho parlato con tanta gente. Per me è stata un'occasione di conoscere la vostra cultura, in cui il cibo ha una grande importanza, e di conquistarmi un po' di italianità. Sono una persona naturalmente curiosa e tenace, come tutti gli autodidatti; ma ho anche i difetti degli autodidatti ovvero, non avendo avuto un indirizzo preciso da un maestro, a volte fatico a stare sui binari.

Infatti la sua cucina è molto apprezzata proprio per la sua originalità e personalità. Ci racconti la nascita di qualche piatto esemplare come il famoso Uovo 65° carbonara.
Io cerco di raccontare le mie emozioni da assaggiatore, quando un piatto o un ingrediente mi danno un'emozione forte, mi interrogo sull'essenza di questa emozione e cerco di restituirla nella mia cucina. Nel caso del piatto che lei ha citato: mi sono interrogato sul piatto simbolo della romanità la pasta alla carbonara. Mi sono chiesto cosa ci piace tanto di questo piatto e mi sono risposto: la cremosità. Così ho lavorato per ottenere la quintessenza di questa cremosità attraverso un uovo cotto a bassa temperatura con spuma di parmigiano e pecorino accostato a guanciale e pasta soffiata che restituiscono la croccantezza. Ne è nato di fatto un piatto nuovo che noi serviamo come antipasto, ma che è stato generato dall'emozione di un piatto della tradizione.

Possiamo parlare quindi di una cucina di ricerca... quanto lavoro di ricerca c'è dietro i suoi piatti?
Sì sono un cuoco in divenire e la ricerca è molto importante per me, pensi che per tre giorni a settimana io, o una parte del mio staff, lavoriamo proprio alla ricerca e messa a punto di nuovi piatti. In alcuni casi, come il nostro Montblanc de foie gras, l'intuizione nasce immediatamente dall'ingrediente, in altri casi una ricetta può rimanere per mesi nel faldone dei piatti “non ancora editati”. Sono i casi in cui l'intuizione del piatto è arrivata in modo parziale, ma il risultato finale non ci convince ancora: è stato il caso del nostro Risotto “opercolato” con funghi e nocciole. Volevamo presentare in modo speciale questo risotto contenuto dentro una sfoglia di funghi, così abbiamo cercato per mesi la ciotola giusta che potesse contenerlo e ho fatto fare dei cucchiai di legno apposta per rompere la sfoglia, perché per me la cucina deve emozionare e coinvolgere più sensi possibile. Questo piatto rappresenta una sorpresa per chi lo mangia per la prima volta, ma ancora un volta... non mi definisca come quel genere di cuoco che vuole stupire a tutti i costi con novità e stranezze... io cerco solo di emozionare il più possibile.

Be' se la sua cucina ha stupito a tal punto Paolo Massobrio, notoriamente incline a una cucina di sostanza, tradizionale (Danilo di Roma è la miglior trattoria), significa che ha fatto centro: corona radiosa. 

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